Operatore sanitario sospetto Covid: l’esito del tampone si perde per strada

Dopo un mese e mezzo di isolamento viene richiamato per un secondo tampone e la conferma della negatività arriva via sms, senza referto. Intanto l'azienda per cui lavora è in grave carenza di personale

Depressed man with protective mask in self-isolation quarantine during virus outbreak pandemic
Immagine di repertorio
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Non è certamente questo il trattamento che si sarebbe aspettato un operatore sanitario che lavora in un’azienda del territorio e che come molti altri a fine marzo era rimasto a casa dal lavoro in stretto isolamento perché segnalato come sospetto Covid: a un mese dal primo tampone l’uomo ha capito che l’esito del referto non sarebbe mai arrivato, andato perso chissà in quale passaggio burocratico. Così, dopo un mese di reclusione, è stato costretto a farne un secondo, ma alla fine l’esito gli è stato comunicato per sms.

Il primo tampone

Tutto è cominciato i giorni dell’ultima settimana di marzo «Mia moglie era già a casa in isolamento dopo essere stata segnalata ad ATS come caso sospetto» ha raccontato l’uomo, che ha voluto rimanere anonimo. In quel periodo lui aveva continuato ad andare al lavoro e a vivere a stretto contatto con la moglie perché «In quel momento non avevamo ancora sentore di quel che stava per arrivare». Dopo la conferma della positività di lei, quando era ormai chiaro che anche lui stava manifestando i classici sintomi dell’infezione, il medico dell’azienda sanitaria presso cui lavora aveva sottoposto l’uomo all’isolamento domiciliare. Era il 31 marzo. Il medico del lavoro, seguendo la procedura, aveva inviato la richiesta ad ATS per ottenere l’accesso al tampone, test poi eseguito qualche giorno dopo presso la struttura di Melegnano.

Il secondo tampone

Da quel giorno di aprile silenzio. In isolamento domiciliare come stabilito per legge e controllato due volte a settimana dalla polizia locale, ha atteso l’esito giorno dopo giorno, fino a quando non è stato chiaro che non sarebbe arrivato alcun referto. «Non mi potevo muovere, ero in una sorta di prigione tra quattro mura». Passato un mese, da aprile a maggio l’uomo ha trascorso la sua quarantena senza una diagnosi né una certezza sulla data di rientro al lavoro. Con il personale dimezzato nel momento peggiore dell’epidemia, anche l’azienda si è ritrovata a passare un periodo complicato. Dopo le sollecitazioni del datore di lavoro andate a vuoto, è stata la richiesta della sua dottoressa la mossa che ha fatto smuovere l’intoppo. Fissato l’appuntamento il 10 di maggio, questa volta in un laboratorio a Milano, l’esame è stato ripetuto una seconda volta, ma l’esito – arrivato alcuni giorni dopo – è pervenuto in una forma inaspettata.

L’esito

Diversi giorni e diverse chiamate dopo: «all’ennesima insistenza della mia dottoressa, in fretta e furia mi mandando un sms che dice “Il suo tampone è negativo, abbiamo già segnalato l’esito alle autorità competenti. Lei è libero di uscire di casa” senza nessun referto, senza nulla» ha raccontato l’uomo sbigottito, che a quel punto si è ritrovato a non sapere se per ricominciare a lavorare avrebbe potuto presentare all’azienda un messaggio sul telefono come prova della sua negatività. «Al mio datore di lavoro dovevo pur presentare qualcosa per rientrare quindi la mia dottoressa mi ha procurato la lista degli esiti che arriva direttamente a lei, oscurando i dati sensibili degli altri pazienti». Preso questo documento per buono, dopo due mesi di lotte per l’uomo è stato finalmente disposto l’immediato rientro al lavoro «Non voglio accusare nessuno, capisco le difficoltà che ci sono state, lo tsunami da cui sono stati investiti, ma trovo incredibile che un tampone sia andato perso». 

Una storia comune 

L’azienda non è pronta ad affrontare una situazione di emergenza, non ha abbastanza dispositivi di protezione individuale e improvvisamente non se ne trovano più sul mercato, gli operatori si ammalano e chi è più debole, invece di essere tutelato si trova a essere più esposto di altri «Tanti operatori si sono ammalati in questo periodo e l’azienda faceva fatica a reperire risorse. Era nel loro interesse ottenere il referto che attestasse la negatività e mi desse la possibilità di rientro al lavoro». Non potendosi permettere di aspettare oltre, insieme al proprio medico ha deciso di riprendere a lavorare a metà maggio, ma la sua è una storia che si ripete: «Alcuni sono riusciti a fare primo e secondo tampone, ma tanti colleghi sono ancora bloccati a casa. Qualcuno che si è ammalato tre mesi fa e ancora attende il tampone».