L’adolescenza trascorsa, per fortuna; ed ora l’età adulta, anche lei non è iniziata proprio l’altro ieri. Mi sembra di vedere nei miei conoscenti e pochi amici una scarsa voglia di vivere intensamente: il massimo delle loro aspirazioni è il mangiare bene, trovandoci a cena, il che è anche a me gradito ma solo se visto come occasione di stare assieme discutendo, andando però al di là dei soliti argomenti poiché, dopo anni di frequentazione con le stesse persone, se non vi è un rinnovamento, si rischia di venir surclassati dalla noia più terribile condita di banalità. Non capisco perché su molte cose l’umanità regredisca così tanto; e sì che per i Greci le cene dovevano essere rigorosamente a tema, non culinario ovviamente bensì di discussione.
Certo, potrei star qui a raccontare il romantico coniglio cucinato dalla nonna, condire il tutto con qualche bel “mi ricordo”, ridare vita alla fiamma della grande stufa le cui titubanze di luce disegnavano ombre ancor più misteriose delle abissali rughe di nonno Attilio, sempre pronto a riempire i bicchieri mezzi vuoti col suo vino duro come i calli che ne felpavano le mani agricole, tanto da parere delle radici, ed in fondo lo erano. Potrei ricordare i racconti della miseria patita dai miei nonni prima, durante e dopo la guerra, ma sarebbe solo la rappresentazione di una parte degli accadimenti umani di quel
periodo, per quanto fosse una situazione diffusa ma non olistica.
Io invece voglio l’odierno, ciò che posso affermare con certezza, un racconto–ricordo che sia semenza per il futuro. Ecco quindi la mia ricetta ed iniziativa di rinnovamento e critica al diffuso interesse per il cucinare, televisivo e non: cucinare cultura fatta a libro! Certo! Perché no!? E poi le pagine sono alberi, quindi vegetali e per questo credo commestibili e senza troppi effetti collaterali. Deciso! Metto in pratica!
Stamane sono andato in uno di quei mercatini (che per me sono il paradiso!) dove vendono libri usati al costo d’una unità di euro; ne ho fatto scorta, di classici e moderni. Nel banco prodotti russi ho preso Dostoevskij abbinandolo al Cappotto, un po’ di esotico con Le Mille e Una Notte, giusto per essere chiaramente globalizzato anche se a malincuore, potrebbe essere un buon dessert; poi Eschilo con qualche buona tragedia per secondo, Il Richiamo della Foresta… come contorno? Il Sistema Periodico,
perché la cucina è sempre alchimia ed emozione, qualche racconto di Buzzati che potrebbe venire buono per l’antipasto e infine Lettere ad Una Professoressa come caffè ed amaro, giusto per lasciarsi con la forma dell’epistolario che fa molto legame invisibile verso il futuro.
Mi sono poi armato di pazienza in quanto non sono un abile cuoco. Ho preparato per bene tutto il necessario, afferrato la pesa per rispettare le dosi che mi inventerò e, felice e a cuor leggero, ho dato conferma a tutti della cena di stasera, ore venti da me.
Unico spettatore alla preparazione il mio gatto che, come sempre, annusava tutto e non fuggendo via schifato delle mie portate, mi rincuorava.
Le Mille e Una Notte le ho messe a macerare mentre facevo soffriggere un aforisma di Picasso “ci si mette molto tempo per diventare giovani” (e ve lo auguro). Poi con tutto il mio amore per Levi (Primo) e il suo “Sistema” ne ho strappato le pagine, ma con una sacra delicatezza tale da far diventare il termine “strappare” improprio all’interno di questo periodo. Successivamente le ho sminuzzate con la mezza luna facendomi guidare da fumose immagini–ricordo della nonna agli umili fornelli, aggiunto un
filo d’olio e messe in padella con l’aforisma Picassiano, fatti saltare e rosolare per bene.
Una volta terminata la cottura di questo ripieno ho separato i capitoli de Il Richiamo della Foresta (volevo fare un primo un po’ selvatico), inframezzando in essi, a strati, il ripieno appena terminato di cuocere, per creare delle appetitose lasagne a sfoglia; un filo d’olio per condire, una grattugiata di Ungaretti e via in forno, rigorosamente a centottanta gradi fino a doratura della copertina esterna di Feria D’Agosto nella quale le ho avvolte; cottura sperimentale al cartoccio ovviamente.
In seguito ho preso Memorie Dal Sottosuolo dalla dispensa personale e le ho frullate assieme alle Mille ed Una Notte (precedentemente macerate), spruzzate con un goccio di limone, salate, pepate, piccanteggiate e appallottolate, realizzando una
trentina di polpette dall’aspetto invitante, che verranno poi condite con dell’aceto balsamico al momento.
Come contorno ho deciso di affettare un po’ di Essere e Avere alla julienne e, per finire, come dolce degli involtini di aforismi in pastella di Gaia Scienza.
Si è fatto tardi, corro a fare una doccia.
Eccomi qui pulito, elegantato e pronto a stupire. Getto un sguardo al gatto, ignaro complice dell’opera.
Il campanello suona. Dal videocitofono osservo il volto degli invitati avvolti dalla normalità della situazione che presto verrà frantumata all’aprirsi di una semplice porta.
Prima di avvicinarmi alla maniglia guardo la tavola imbandita e ben disposta, con la luce vermicolante di tre candele a diffondere ombre dorate sui colori cellulosi delle pietanze, più in là il camino fa il resto.
La reazione dei miei ospiti non è stata quella che mi aspettavo: allibiti, tutti quanti. Le mie spiegazioni sul concetto che ho tentato di esprimere hanno addirittura peggiorato la situazione. Atmosfera pesante, di autentica presa per i fondelli aleggiava nella sala, e il buon vino aperto come aperitivo pareva non avere effetto sugli animi.
“Pizza?” – domando – “Offro io! Era tutto uno scherzo!”
La tensione si dissolve dagli ospiti comandati dal solo ventre, ma non da me. Così usciamo, e, mentre mi allontano dalla tavola penso “tanto non hanno data di scadenza queste mie sublimi ed incomprese portare essendo fatte di libri, composte dall’eternità donata dalle vite future che li assaporeranno! E l’eternità non conosce il tempo meschino dell’immediato. Le potrò fare assaggiare ai nuovi incontri del mio domani. Magari in quelle occasioni saranno apprezzate”.