I segreti della Martesana: “Il cacciatore di nutrie”

Parte la rubrica degli aspiranti scrittori della martesana: votate il vostro preferito!

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La nuova rubrica domenicale dedicata alle penne degli allievi del corso di scrittura creativa di Artéofficina (ne avevamo parlato qui) parte oggi, con il racconto di Marco, che – come il tema richiede – ha scelto di parlare di un mondo sconosciuto su un territorio che tutti noi conosciamo bene. “Un viaggio onirico e incalzante in cui si intrecciano sensualità, mistero e mitologia”.

Ma gli scrittori non sono gli unici soggetti in gioco: voi lettori siete, come sempre, al primo posto. Votate con un like il vostro racconto preferito: al termine della rubrica, il vincitore otterrà un’intervista esclusiva con noi!

Buona lettura!

 

IL CACCIATORE DI NUTRIE

Sono una cacciatrice.
Non di professione, quello no, ma mi piace cacciare nel tempo libero. Io ho molto tempo libero.
Mi piace scovare la preda, attirarla, mi piace la notte, mi piace l’odore, la solitudine. La cacciagione poi, ha tutto un altro gusto, ha il sapore dell’agguato, della cattura.
I miei fratelli disapprovano. Non è un’attività da femmina. Tutte le cose divertenti non sono da femmina. Grazie…. Loro sono maschi, che ne sanno? La caccia è un po’ come sedurre. Chi seduce meglio, i maschi o le femmine? Io sono una seduttrice e una cacciatrice.
Anche il mio fidanzato non approva, ma per motivi diversi. Lui è così buono, così gentile, ama la vita in tutte le sue forme, anche quelle inferiori… Io non mi faccio tutti questi problemi. Infatti litighiamo! Poi però si fa pace. Il primo passo è sempre suo, è bravo in quello, è un vero angelo. Io però sono brava in ciò che viene dopo!
Mi piace cacciare. Ho talento, ho stile, ho tecnica. Seguo le tracce, scelgo la preda, la attiro con i richiami. Un gran lavoro di preparazione che culmina in un unico veloce momento, la cattura. Poi si fa festa.
Ma i miei fratelli non approvano, preferiscono andare loro a caccia.

***

Michele si guardò allo specchio un’ultima volta per controllare lo stato della barba. Ci teneva molto alla sua barba rossa e liscia, in perfetto stile hipster.
Lo sguardo vissuto, i capelli quasi rasati ai lati ma folti e ordinati in cima, il fisico massiccio ma asciutto, Michele aveva l’aspetto di un guerriero vichingo, qualcosa di intermedio tra un nobile dell’alto medioevo e un barbaro nordico.
Un po’ di deodorante e la toilette mattutina poteva considerarsi conclusa. Per finire doveva solo controllare gli attrezzi preparati la sera precedente. Non amava improvvisare, era uno preciso, altrimenti non avrebbe potuto gestire senza aiuto il negozietto di caccia e pesca più frequentato della zona. Non c’era da diventare ricchi con quel lavoro, ma vivere bene sì. Aveva molti clienti fedeli e affezionati, e gli affari andavano alla grande. Per un ragazzo di trent’anni che si era fatto da sé, quello non era un risultato da poco.
Sì, aveva tutto. Il fucile, i richiami, una bottiglietta d’acqua, non si sa mai. Il cappello, i guanti e il giaccone. Lo zaino con i sacchetti per le code, attrezzi e attrezzini vari. C’era tutto. Poteva uscire per la sua battuta di caccia.
Michele era un cacciatore. Gli piaceva in particolare cacciare le nutrie. Myocastor Coypus, noto anche come castorino o “topone”, per via della coda nuda. Una tra le cento specie considerate più dannose al mondo. Cosa del tutto discutibile, in realtà.

  • Ciao Sara, io vado.- disse Michele sorridendo alla sorella.
  • Bravo, tu vai a divertirti mentre io devo stare qui in casa a sistemare! – rispose lei imbronciata – Portami con te, in fondo lo sai che sono anch’io una cacciatrice!
  • Ne abbiamo già parlato – sorrise in modo più marcato –. La caccia alla nutria non è cosa da femmine. Fai la brava, domattina ti aiuto con i lavori di casa.

Michele era un po’ all’antica. Ma in fondo cosa c’era di male ad essere all’antica? Cosa c’era di sbagliato nel voler proteggere le proprie donne? I castorini sono belli e carini, finché non mordono.
Sara era troppo avventata e rischiava sempre di farsi mordere, di farsi male. Il suo stile di caccia era troppo istintivo, troppo antico, troppo selvaggio.
La sua era una caccia io-contro-di-te, vinca il migliore. Seguiva l’animale per ore, puntava un esemplare specifico e cercava di dargli sempre una possibilità di salvezza. Non usava il fucile, piuttosto preferiva le trappole. Aveva anche un arco. Una volta aveva ucciso un topone con un coltello da lancio. Era istintiva… ed era stata morsa. Il morso di nutria non è pulito. Sara era l’unica sorellina di Michele… meglio stesse a casa o con il fidanzato. Ovunque ma non per i campi a cacciare nutrie. La nutria alla fine era cosa da maschi.

  • Tanto ci vado lo stesso quando tu non mi vedi!- rispose la sorella con tutta l’impertinenza dei suoi vent’anni.
  • Fai la brava! Dai, ci vediamo per pranzo. Ti ricordi che questa sera vado a Gorgonzola per la festa?
  • Vai alla sagra del gorgonzola? No, non lo ricordavo. Va bene lo dico anche a mamma.
  • Lo sa già. Tu che programmi hai per stasera?
  • Non lo so, magari vado anch’io alla sagra.
  • Col moroso?
  • Si certo!
  • Bon, così la smetti di parlare di nutrie.
  • Fate l’amore, non cacciate la nutria!- disse lei ammiccando.
  • Mmm…- mugugnò Michele guardandola torvo.

Anche quell’eventualità non gli garbava tanto, ma sapeva di non poterle proibire tutto.
Era sempre faticoso fare da fratello maggiore. Per di più da quando era mancato il padre Michele ne aveva assunto il ruolo. Non era preparato per questo, aveva solo vent’anni quando era successo. Pur essendo ormai passati dieci anni, era ancora difficile fare da fratello e padre. Sara ne approfittava in tutti i modi possibili ed era diventata una ragazza molto libera, molto disinibita. Una cacciatrice di uomini e di animali.
Michele indugiò guardando la sorella. Era diventata una donna, una donna bellissima per giunta. Alta quasi quanto lui, aveva folti capelli rossi e occhi azzurri, la sua pelle era bianchissima e il suo sorriso disarmante. Il fisico asciutto da insegnante di fitness la rendeva più che appetibile per qualunque uomo della zona. E lei pensava a cacciare le nutrie… Forse, tutto sommato, era meglio così!
Salutata la sorella, Michele salì in macchina e guidò fino al luogo della caccia: la campagna circostante Cernusco, lungo il naviglio Martesana.
Ci mise un po’ per trovare tracce di nutria. Una volta trovate, però, fu molto semplice individuare la tana. Le nutrie raramente si allontanano molto dai loro tunnel.
Infatti eccole lì: ben due tane scavate nell’argine scosceso del naviglio. Tipico. I castorini scavano sempre dentro argini scoscesi e instabili. Per questo motivo sono erroneamente considerati causa di frane. In realtà non è così: i castorini scelgono di proposito pareti scoscese e instabili. Il perché di ciò, Michele non lo sapeva.
Conosceva bene la sua preda, aveva studiato e fatto alcuni corsi. Ma non gli era stato spiegato proprio tutto e in fondo a lui non interessava sapere tutto. Gli bastava conoscere il minimo necessario per scovare e catturare qualche esemplare nel fine settimana.
Dopo aver individuato l’imboccatura delle tane, decise dove collocare l’esca odorosa e si appostò a giusta distanza, accovacciato, fucile puntato, in attesa che la preda o le prede si facessero vive.
Era ormai autunno inoltrato. Per fortuna il sole del mattino si era bevuto tutta la brina e l’erbaccia non trasmetteva molta umidità. L’aria però era impregnata. Una leggera nebbiolina profumata di campagna e fumo stava montando dal fiume e dilagando nel territorio. Presto la nebbia e le nuvole sarebbero entrate in competizione con il sole, presto sarebbe giunto il freddo.
Attendeva da una buona mezz’ora, forse anche quaranta minuti, quando sentì uno strano profumo nell’aria. Non era l’esca odorosa né il profumo del nuovo dopobarba. Era qualcosa di strano, di evanescente, quasi… sensuale. Un profumo come di gelsomino ma molto più femminile.
Lasciò il fucile e si alzò in piedi. Si guardò intorno alla ricerca dell’origine di quell’odore così… perfetto.
Nulla. Nei trecentosessanta gradi della sua visuale non c’era anima viva. Poteva trattarsi di qualche sostanza proveniente dal fiume? In genere gli odori provenienti dalla Martesana non erano gradevolmente sensuali, ma erano piuttosto… agresti. Eppure quel profumo era lì, entrava nelle sue narici e si espandeva in tutto il corpo donandogli una sensazione di piacere intenso.

  • Ma che cosa…- esclamò.

Poi tutto svanì: profumo, sensualità, in un istante via tutto. E la campagna ritornò ad essere contenitore di odori agresti.
Sono single da troppo tempo
, pensò Michele, devo trovarmi una donna o rischio di impazzire!
In effetti il cacciatore di nutrie era considerato un bell’uomo, non gli risultava difficile fare nuove conoscenze. Purtroppo però era molto burbero, introverso e un po’… all’antica. Insomma, non era facile per Michele stringere una relazione duratura e poi, dopo tanti fallimenti, ne aveva quasi perso la voglia. Aveva evitato le donne per più di un anno, dedicandosi completamente al lavoro, alla famiglia e alla caccia. 
Forse è arrivato il momento di riconsiderare la possibilità di fidanzarmi
, pensò, o rischio di avere le allucinazioni.
Ad ogni modo, decise di archiviare l’episodio del profumo e si piegò per raccogliere il fucile ma sentì qualcosa di freddo arrampicarsi a spirale lungo la gamba. Fece istintivamente un balzo indietro, ma la presa alla caviglia lo seguì. Guardò verso il basso e l’unica cosa che vide furono due denti enormi proiettarsi velocemente verso il suo torace. Non fu la mente a dare il comando, piuttosto le mani agirono da sole frapponendo il calcio del fucile tra gli enormi canini e il suo petto, per poi spingere la testa dell’aggressore verso terra schiacciandola.
Che schifo
, disse quando riprese il controllo del suo corpo e si accorse di ciò che era successo: il calcio del fucile premeva ancora contro la testa di un serpente, ormai spappolata al suolo.
Michele estrasse un fazzoletto dalla tasca del giubbotto e cercò di pulire il fucile da  quel pasticcio. Poteva trattarsi di una vipera? Non ne era sicuro. Comunque poco importava, non l’aveva morso e non avrebbe più morso nessuno.
Si era innervosito: aveva perso ancora tempo e le nutrie non accennavano a comparire.
Sperava non l’avessero visto… altrimenti ciao.
Si appostò nuovamente accovacciato sulla sponda opposta alla tane, dietro una piccola cunetta, lievemente mimetizzato da qualche arbusto raccattato qua e là. Nella campagna aperta c’era abbondanza di rametti e fogliame.
Poi finalmente, dopo un’altra ora di attesa, ben due musetti spuntarono dalle rispettive tane, come se si fossero dati appuntamento per la cena. L’ultima cena.
Si diressero entrambi verso l’esca odorosa: vegetali bagnati con aromi speciali, molto volatili. Si misero a mangiare avidamente. Era il momento giusto.
Il colpo doveva essere ben studiato se voleva prendere entrambi gli animali. Uccidere il primo sarebbe stato facile. La sfida era colpire anche il secondo evitando che si rifugiasse spaventato nel suo buco. Michele scelse una strategia a ventaglio: avrebbe sparato un primo colpo mirando ad una nutria specifica, poi avrebbe esploso due colpi, uno a destra ed uno a sinistra in rapida successione. In questo modo avrebbe coperto entrambe le vie di fuga. Se infine l’animale superstite fosse rimasto immobile per lo spavento, avrebbe potuto colpirlo con un quarto colpo di precisione.
Lasciò che le prede completassero l’ultimo boccone e poi… BANG, BANG, BANG.
Il rumore degli spari ruppe il silenzio che ammantava la campagna milanese. Qualche uccello spaventato spiccò il volo aggiungendo un po’ di movimento alla disturbata quiete agreste.
Non ci fu bisogno di un quarto colpo. La strategia aveva funzionato: tre colpi, due carcasse, due cadaveri.
Michele si affrettò a recuperare le prede. Le raccolse con i guanti e le osservò. Entrambe femmine. Probabilmente avevano dei cuccioli. Non sarebbero sopravvissuti all’inverno. Con soli tre colpi in realtà aveva contributo in modo ben maggiore all’azione di contenimento di quella specie dannosa. Che poi così dannosa forse proprio non era.  Chi lo sa? A Michele tutto sommato non importava. Del resto se gliene fosse importato non avrebbe potuto essere un cacciatore così efficace.
Tagliò le code agli animali: le autorità pagavano una certa somma per ogni coda come dimostrazione dell’avvenuto abbattimento. Non lasciò le carcasse a terra ma le mise in appositi sacchi ermetici rinforzati. Conosceva qualcuno interessato alle pelli di castorino anche se forate dai proiettili. Non se ne ricavava più molto ma era pur sempre meglio di niente…
È ora di tornare a casa
, pensò, questa sera si va alla festa di Gorgonzola… e avrei voglia di incontrare una donna.

***

Io sono una cacciatrice. I miei fratelli non approvano ma non m’importa.
Il fratello maggiore è uscito presto oggi pomeriggio, è andato a caccia e mi ha detto di non fare altrettanto. Probabilmente non ci crede neanche lui che lo ascolterò.
Infatti sono uscita anch’io, con i miei pochi strumenti, in cerca della preda. Una sola. Punto sulla qualità, io, non sulla quantità. Osservo a lungo e poi seleziono solo un singolo esemplare, non uccido di più. Ma del mio esemplare voglio sapere tutto.
Seleziono l’esca odorosa calibrando le essenze in modo che la percepisca solo la mia preda, solo l’esemplare da me scelto tra tanti suoi simili. Questa tecnica riesce a me e a nessun altro. I miei fratelli non lo dicono ma mi invidiano. È la mia natura: ho un olfatto sviluppato oltremisura. Riesco a discernere, a miscelare, a sintetizzare. Poi ho un metodo: faccio esperimenti. In genere mi servono tre o quattro tentativi per cogliere il sentore giusto, quello che fa presa solo chi voglio, solo su quell’unico individuo.
Oggi ho faticato a trovare la mia preda. Prima ho osservato un gruppetto di quattro esemplari maschi in lotta per una femmina. La femmina era poco discosta, in attesa di selezionare il vincitore, con cui si sarebbe poi accoppiata. Ma nessuno mi ha colpito. Tra loro non c’era il mio esemplare.
Quindi ho seguito alcuni individui intenti a procacciare cibo. Erano femmine. Io tendo a evitare le femmine, potrebbero avere cuccioli e i cuccioli potrebbero essere le mie prede di domani. Poi le femmine, si sa, sono più furbe dei maschi. Questa è una legge comune a quasi tutte le specie viventi. Troppo difficile catturarle senza strumenti più “determinati” di quelli che uso io. Le lascio ai miei fratelli, io perseguo esemplari maschi perlopiù.
Poi, finalmente, ho individuato la mia preda. L’esemplare perfetto. L’ho osservato per un po’ prima di decidere. Era solo, isolato nella campagna, anche lui in cerca di cibo ma sicuramente non per i cuccioli. Adesso è qui davanti a me ma non può vedermi, è troppo lontano ed io sono ben nascosta.
Bene, ho preparato le mie essenze e sono riuscita a trovare il giusto mix già al secondo tentativo. In questo momento ho aumentato la dose e ho spinto gli effluvi verso la mia preda. Vediamo se reagisce… Si è voltato, è stato agganciato dalla mia esca odorosa. È un esemplare molto reattivo. Potrei catturarlo subito ma mi perderei tutto il piacere. Lo seguirò nelle sue abitudini, voglio sapere tutto della mia preda. Sono una cacciatrice, io. Ma i miei fratelli non approvano.

***

La birra era fresca e amarognola, scendeva bene in gola. Il locale era pieno, erano stati fortunati a trovare un tavolo.
Ogni anno la cittadina di Gorgonzola, nella provincia est Milanese, festeggia l’invenzione e il successo del suo figlio più famoso: il formaggio gorgonzola. Come sempre durante quella festa, i locali e le strade si riempiono oltremodo. I cinque amici avevano prenotato, altrimenti addio aperitivo.

  • Così hai catturato due topi oggi !- scherzò Claudio.
  • Non sono topi.- replicò Michele appoggiando il boccale ormai vuoto sul tavolo – Le nutrie sono più simili ai castori. Ci si fanno le pellicce. Tu fai le pellicce con i topi?-
  • Mah… sarà, a me sembrano pantegane fatte e finite.- e giù di birra.
  • O zoccole!- aggiunse Luciano.
  • Sì, mi sembra più appropriato dire che Michele è andato a zoccole!- scherzò Luca e si misero tutti a ridere.
  • Va bene, va bene, forse sarei dovuto andarci davvero!- si schernì Michele.
  • Sei sempre in tempo, la serata è lunga!- concluse Andrea prosciugando il suo boccale.
  • Altro giro?- propose il cacciatore di nutrie.
  • Ovvio! Certo! Sicuro! Vai di rossa!- risposero gli altri.

Cinque ragazzi, tre single e due fidanzati. Ma le donne? A casa. Si poteva quindi parlare tranquillamente di tutto, non c’era nessuna signorina da “non offendere”.
Da quando fumare nei locali era diventato illegale, non c’era più quella simpatica nebbiolina accompagnata dall’intenso aroma di tabacco bruciato che copriva tutti gli altri odori. Perciò non appena la densità di persone ubriache superava una certa soglia, tutta una serie di colorati aromi andava ad arricchire l’atmosfera. Quella sera la soglia era stata abbondantemente superata. Suoni, odori e luci basse creavano il giusto ambiente per ubriacarsi e dire stupidaggini con gli amici. Era già un ottimo antipasto, ma bello sarebbe venuto dopo: passeggiata tra le strade affollate, fermata ad ogni chioschetto, assaggio di cibi conditi e arricchiti con gorgonzola e, dulcis in fundo, eventuale rimorchio.
La festa del gorgonzola era rinomata, famosa e apprezzata. Attirava persone da tutta la provincia di Milano. Anzi a dire il vero, richiamava affezionati da tutta la Lombardia. L’ovvia conseguenza era uno tsunami umano in cui era facile perdersi.
I cinque amici chiacchieravano del nulla riempiendo i boccali di birra senza star troppo a contarne il numero. Più bevevano e più la serata sembrava allegra. Per fortuna erano tutti della zona e sarebbero tornati a casa in metropolitana.
Michele era più allegro del solito. Oltre all’ebrezza data dalla birra sentiva un sottofondo di eccitamento che lo aveva accompagnato per tutto il giorno. In effetti sentiva il bisogno di una ragazza. E fu proprio allora, mentre acquisiva consapevolezza delle sue sensazioni, che vide Lei.
Vide la donna più bella del mondo, seduta da sola qualche tavolo più in là. Dire splendida sarebbe stato riduttivo: i capelli neri, lunghi e ricci le ricadevano sulle spalle e sulla schiena; due ciuffi ribelli e solitari si avventuravano sui seni, appena visibili per merito di una scollatura sensuale ma non eccessiva; le labbra rosse come il sangue risaltavano luminose contrastando con il candore latteo della pelle e con il blu degli occhi. I suoi occhi… Erano talmente luminosi che Michele riusciva a percepirne il colore anche da quella distanza.
Incredibilmente, gli parve di riconoscere il profumo di lei, era sicuro di aver individuato il suo esatto aroma estraendolo del caos di sentori che inzuppavano il locale.
Era lì, sola, sorseggiava la sua bevanda. Forse alcolica, forse no. Michele si sentiva attratto da lei come non lo era mai stato verso nessun’altra. Il suo eccitamento aumentò quando i loro occhi si incontrarono.
Mi sta fissando, pensò lui incredulo,non stacca lo sguardo… Mi sorride… Forse…
L’eccitamento di Michele si fuse con la speranza, con la promessa che quel sorriso donava.
Si voltò verso gli amici.

  • Ragazzi, la nostra serata insieme finisce qui. Io mi butto sulla più bella donna del mondo!
  • Sta attento a non trovare il sorpresone poi!- lo canzonò Luca.
  • Dov’è? Chi è?-, Andrea era incuriosito.

Se andava buca all’amico, poteva sempre proporsi lui.

  • E’ lì, quella donna sola a quel tavolo.- indicò Michele
  • Ma dove? Vedo solo un tavolo di uomini.-
  • Ma… come…- Michele si era voltato solo per un secondo e la Dea era sparita.

Il tavolino che la ospitava solo pochi attimi prima era vuoto.

Dov’è andata? Scandagliò tutto il locale, frenetico, forse sarebbe riuscito ad intercettarla….

Nulla…

Si alzò, cambiando visuale. Forse con qualche centimetro di altezza in più sarebbe riuscito a vederla…

Nulla…

Ogni lasciata è persa, si dice. Quella sera Michele scoprì un’altra sfumatura di quella massima: ogni “esitata” è persa. Avrebbe dovuto reagire subito. Aveva esitato e perso la sua occasione. Si sedette e bevve, così, per non pensare.
Dopo un’oretta buona di bevute e cavolate varie, i cinque amici decisero che era giunto ilmomento di gettarsi per le vie di Gorgonzola. Tra bancarelle e locali aperti, tra chioschetti ed ambulanti, quella notte la piccola cittadina offriva cibo, bevande e incontri per tutti i gusti.
Si tuffarono nella bolgia.
Si fermarono al chioschetto dei sorbetti al gorgonzola, delicatezze di bontà indiscutibile. Ovviamente non si trattava di gelato bensì di crema di formaggio finemente trattata e servita così, per strada, in un bicchierino di plastica con il cucchiaino come fosse davvero un sorbetto.
Continuarono con un paio di birre e poi l’immancabile panino alla porchetta. Evidentemente quella sera nel ricco panino c’era anche un’importante dose di gorgonzola.
Michele stava gustando la sua cena un morso dopo l’altro tra i suoi amici mezzi bevuti come lui, quando la vide di nuovo. Là in fondo alla via. Si scorgeva appena tra la folla. Ma cera impossibile non notarla: le sue gambe erano lunghissime, non se n’era reso conto nel locale perché erano nascoste sotto il tavolo.
Era lei, nessun dubbio, e lo stava guardando. Mangiava un cono gelato nel modo più sensuale mai visto. E guardava lui. Lo guardava mentre mangiava. Era impossibile non immedesimarsi in quel cono gelato: Michele provò l’irrefrenabile desiderio di essere mangiato da lei.
Questa volta inebriato nella vista e nell’olfatto, non osò togliere lo sguardo dall’oggetto del suo desiderio. Si precipitò verso di lei mentre questa camminava sensuale in direzione opposta. Ogni tanto la misteriosa bruna senza rallentare girava il capo e osservava Michele dritto negli occhi, sorridendo.
Michele accelerò il passo facendosi largo tra la folla, noncurante delle lamentele delle persone scostate in malo modo. Tutta la sua attenzione era alla Dea che si stava allontanando mischiandosi tra la folla.
No… non poteva perderla di nuovo, ma c’era troppa gente che lo rallentava… era così vicina ma non riusciva a raggiungerla. E lei poi lo guardava come per schernirlo, per sfidarlo. Sembrava dirgli “prendimi se puoi”. Lui cercava disperatamente di raggiungerla… ma la folla… la bolgia… lo rallentava. Iniziava ad innervosirsi, cominciava a scansare le persone con sempre maggiore violenza. Doveva catturarla. Avrebbe potuto uccidere per lei.
La vide girare l’angolo proprio quando li dividevano solo pochi passi. Alcuni secondi dopo anche Michele imbocco la viuzza perpendicolare al vialone principale. Non c’era più folla lì, ma era ovvio: non c’erano bancarelle né locali. Purtroppo però non c’era neanche la bruna. Non c’era nulla.

  • Ma come…- le parole gli si smorzarono in bocca.

L’aveva persa un’altra volta.
Rimase come un ebete ad osservare il vicolo vuoto. Il chiasso della gente sembrava così lontano, un eco ovattato. Gli odori, i colori, tutto scomparso. Davanti al cacciatore di nutrie c’era solo un vicolo vuoto, grigio, umido. I lampioni mezzi rotti non illuminavano granché e i rivoli che scorrevano bagnati lungo la strada non promettevano nulla di buono né di pulito.
La viuzza pareva più lunga e tetra del normale. Quasi ipnotizzato dall’anomalo contrasto rispetto ai colori ed alla vita di poco prima, Michele si trovò a fissare l’unico essere vivente presente in quel folle teatro: un uomo anziano, quasi certamente una persona senza fissa dimora, sedeva tra due sacchi di spazzatura con la schiena appoggiata al muro e con la testa china. Probabilmente si era addormentato dopo una pesante sbronza. La mano destra reggeva ancora una bottiglia di liquore, vuota. Un filo di saliva pendeva dalla bocca e si raccoglieva sulla giacchetta lercia e bucata. Non aveva le scarpe a coprire i piedi anneriti dallo sporco e consumati dalla strada. Il tanfo che proveniva da lui era un miscuglio composto dalle note liquide dell’alcool e dal sentore secco e stantio di un corpo non lavato da settimane.
Inaspettatamente e con una velocità innaturale il vecchio sollevò la testa e fissò Michele. La bocca era aperta e piena di bava, gli occhi erano spalancati e tutti blu.
Michele sentì una mano afferrargli la spalla. La presa era così fredda da gelargli il corpo attraverso il giaccone. Sentì una fitta al braccio ed in un sussulto di panico si voltò pronto al combattimento…
Era solo Luca… Il suo amico. Dietro di lui riconobbe gli altri tre.

  • Cos’hai? Perché sei corso via?- chiese l’amico.
  • . credevo di averla vista…- era tutto sudato.

Dalla fronte grondava acqua fredda e salata.

  • Vista chi? – Chiese Andrea – Sei un po’ strano questa sera. Forse hai bevuto troppo.-
  • Io…- Michele era confuso.

Si girò a guardare il vecchio ubriaco, ma non c’era più. Era così frastornato che gli sembrò una cosa normale, accettabile, che un uomo si volatilizzasse in un battere di ciglia. O forse era solo contento di non dover più sostenere il suo sguardo blu.

  • Io… sì, hai ragione forse è meglio che torni a casa. Ho bisogno di dormirci su.- rispose infine.
  • Va bene, mati si accompagna. Non sembri in condizioni di muoverti da solo.-

***

Io sono una cacciatrice, e sono brava, anche se oggi non ho preso nulla.
Anzi oggi non ho preso nulla proprio perché sono brava. Chi altri potrebbe permettersi di lasciare la propria preda essendo certa di poterla ritrovare l’indomani? I miei fratelli potrebbero? No di sicuro. Per loro le prede sono tutte uguali, tranne qualche rara eccezione. Puntano sulla quantità, sono troppo distanti dalla natura, non riescono a percepirla come me.
Oggi mio fratello maggiore ne ha presi due ma non sa nulla di loro. Li ha visti e… PAM, presi. Sono buoni tutti così.
I miei fratelli non si immergono nell’ambiente fino a divenirne parte. Io seguo la mia preda a lungo. So dove ha la tana, so quali sono gli altri esemplari con cui interagisce maggiormente, so cosa mangia e cosa gli piace. Io divento come la mia preda e ne condivido il punto di vista, i sapori, gli odori, i suoni, l’alito di vita.
Ma che ne sanno i miei fratelli della vera caccia? Sono maschi. Ci vuole l’intuito e la sensibilità femminile per cacciare come faccio io. E non c’è niente di più eccitante. Beh, a parte quello che faccio con il mio fidanzato, naturalmente. Quello è ancora più eccitante. Lo è tanto di più quando penso che i nostri genitori disapprovano. Certo, loro si odiano. Sono sempre a litigare e a dirsene di ogni. Non sappiamo quando hanno incominciato a litigare ma sappiamo che non smetteranno mai. Secondo loro la nostra storia d’amore è contro natura! Addirittura! Ma che ne sanno. Sono tutti buoni a giudicare. Ma io faccio quello che voglio che ad ascoltare sempre tutti si finisce per diventare matti. Mi sento come Giulietta con il suo Romeo!
Adesso voglio andare a spiare la mia preda: so dove ha la tana. Voglio osservarla ancora, voglio sapere tutto di lei prima di catturarla e mangiarla.
Io sono una cacciatrice, anche se i miei fratelli disapprovano.

 

***

 

Michele si guardò intorno disorientato. Non riconosceva quel luogo e non ricordava come ci fosse finito. Il locale era vuoto, non c’era nessuno. Tavolini vuoti, divanetti vuoti, la pista da ballo vuota, il palco per le esibizioni di lap dance vuoto. Eppure c’era musica alta e luci soffuse, calde e rosse, che si muovevano seguendo il ritmo dell’assordante musica heavy metal. Il locale sembrava vivo, pulsante. L’odore di alcool e i profumi femminili non combaciavano con l’assenza di persone. Eppure non vedeva nessuno.
Michele camminava tra i tavoli accarezzando le spalliere dei divanetti in pelle. Erano lisce, calde. Osservava lontano e vicino, oltre il palco, sulle terrazzine, nei privé. Nessuno. La luce non era forte, anzi, era luce di discoteca, di night club. Sarebbe stato facile nascondersi nelle molte zone in ombra, tra le chiazze sfumate delle lampade rosse intermittenti.
Michele girava in cerca di un indizio, di un volto, o almeno di un bicchiere di birra, quando vide lei. La sua Dea bruna sul palco. Indossava un bikini da concorso e abbracciava il palo della lap tra i seni.
Si osservarono intensamente per alcuni istanti, poi lei si mosse avvicinandoglisi. Sinuosa come una gatta e imperiosa come una valchiria, sensuale come una ballerina di tango argentino, saltò giù dal palco in corrispondenza di Michele. Lui non riusciva a muoversi né a parlare. Era completamente ipnotizzato e paralizzato ma consapevole. Finalmente l’aveva raggiunta. Ora non gli sarebbe più sfuggita.
Lui la afferrò per un braccio con una presa salda, vigorosa. Lei sorrise, lui la baciò sulle labbra.  Lei ricambiò e lo avvolse in un abbraccio carico di promesse.
Si staccò da lui, lo prese per mano e lo condusse in un angolo buio del locale. Michele non seppe resisterle, la seguì docile senza fare domande. Il profumo e la vista di lei, la musica metal che rimbombava nella sua testa, le luci scarlatte… Non riusciva a pensare bene, era confuso ma terribilmente eccitato.
Arrivati a destinazione, Michele notò lo strano muro di fronte a lui. Era pieno di ganci come quelli piantati nelle pareti di montagna per consentire agli scalatori di vincolare le corde. Mentre il cacciatore di nutrie si domandava cosa ci facessero tali ganci in una discoteca, lei gli legò polsi e caviglie con una robusta fune. Senza che Michele avesse la forza di fermarla, lei assicurò i rimanenti capi delle funi a quattro ganci.
Senza quasi accorgersene, lui si trovò vincolato alla parete. Non gli era mai piaciuto farsi legare. Ma in quella situazione e con quella donna, tutto era incredibilmente piacevole.
E la sensazione di piacere aumentò ancora quando lei incominciò ad accarezzarlo. All’inizio Michele riuscì a mantenere un barlume di consapevolezza ma ben presto la lucidità cedette il passo all’eccitamento che cresceva sempre più velocemente, al ritmo delle carezze di lei, in una circolo vizioso che precipitava verso un inevitabile punto di non ritorno. Fino alla soglia, al raggiungimento del culmine….

… si svegliò.

Con il cuore a mille, tutto sudato, con il respiro affannoso, Michele si sollevò leggermente mettendosi a sedere. Era nel suo letto. Era notte. Era buio nella  sua stanza, solo alcune sottili lame di luce lunare penetravano dalle persiane non completamente serrate.
Devo trovarmi una donna
, pensò Michele, ora me le sogno anche di notte!
Sorrise ma era inquieto. Osservava la sua stanza come per assicurarsi di essere veramente a casa.
Quella era indubbiamente la sua camera, anche al buio la riconosceva, era sempre vissuto lì. Tuttavia…
L’angolo in fondo a sinistra non aveva contorni familiari. In quel punto, nella spessa penombra, Michele intravide una forma insolita come fosse una figura vagamente umana, in piedi. Era difficile coglierne i contorni ma dal poco che riusciva a percepire era naturale e semplice ricostruire il profilo di un umanoide in piedi, incastrato nel punto di incontro delle due pareti.
Michele non credeva ai fantasmi, ovviamente. Né tantomeno all’uomo nero o al Bau Bau! Piuttosto non ricordava di aver messo un appendiabiti o una sedia o altro in quell’angolo. Se lo ricordava vuoto… E poi, quale oggetto poteva avere un tale profilo, con braccia e testa? Se fosse stato un uomo, d’altra parte, sarebbe stato alto quasi due metri!
La testa era completamente scura nel buio dell’angolo. Michele riusciva a ricostruire solo parte dei contorni: capelli lunghi da un lato, un abbozzo di orecchio dall’altro. Sotto, il collo…
Si attardò sul volto cercando di cogliere di più.  Non vedeva nulla oltre i contorni. Nero pesto. Stava quasi per decidere di alzarsi e avvicinarsi quando nel bel mezzo di quell’ovale nero si aprirono due piccole feritoie tonde, bianchissime e luminose, con una pupilla azzurra al centro di ciascuna. Occhi!
Occhi che lo osservavano dal profondo nero di quell’angolo buio! Erano vivi, intelligenti, consapevoli e malvagi, fissi su di lui. Si muovevano con lui. Michele era paralizzato. Voleva muovere la mano sinistra verso l’interruttore… Come un bambino sperava che il mostro si sarebbe dissolto all’accendersi della luce. Ma la mano non rispondeva ai suoi desideri. A malapena riusciva a comandare il respiro, a singhiozzo.
Il panico aumentò quando sotto i due occhi misteriosi si aprì una feritoia orizzontale. Dietro di essa comparve una lunga fila di denti bianchissimi, tutti canini. Era una bocca… Larga e contorta, troppo larga… Era disumana e sorrideva distorta, scoprendo le innumerevoli piccole zanne.
Una puzza di uovo marcio e zolfo si era diffusa nella stanza e bruciava il naso.
Michele si sentì impazzire di terrore, ma non riusciva a muovere una fibra.
Pochi secondi che durarono tutta una vita. Il cacciatore di nutrie perse anni di vita in quei secondi. Poi la bocca si chiuse nascondendo i canini. Gli occhi si serrarono fondendosi con il buio della stanza. L’oscurità dell’angolo maledetto si fece più profonda fino ad assorbire completamente l’immagine umanoide che divenne presto non più riconoscibile. La puzza si dissolse.
Michele ritrovò la forza per proiettarsi sull’interruttore. Accese la luce cadendo dal lato sinistro del letto.
Un appendiabiti. Nell’angolo in fondo c’era solo un appendiabiti con sopra un giubbotto da caccia.
Michele si sentì stupido e anche un po’ ubriaco. Almeno postumo! Rise istericamente, scaricando parte della tensione.
Era spossato. Si sentiva come se avesse subìto un massiccio prelievo di sangue. Eppure aveva dormito… Ma quanto? Guardò l’orologio. Beh, dormiva da almeno quattro ore…
In quel momento entrò la sorella aprendo timidamente la porta, chiedendo permesso.

  • Michele stai bene?- domandò- Ho sentito un rumore, come un tonfo…-
  • Sì… sono caduto dal letto…- rispose alzandosi in piedi.

Non voleva raccontare i dettagli. Si vergognava di aver scambiato un giubbotto per un mostro, di aver preso due bottoni metallici illuminati dalla luna per occhi i e la zip di una tasca per una bocca …

  • Non devi bere così tanto… poi dormi male.
  • Sì… cercherò di bere meno…

Lei sorrise compiaciuta.

  • Ascolta Sara. – Michele assunse un tono più severo. – Cosa ci fa quell’appendiabiti con il mio giubbotto, messo lì?

Indicò l’angolo in fondo a destra.

  • Io… non…
  • Sara! Non c’era niente lì, l’hai spostato tu! Sei andata a caccia!
  • Io… insomma, devi smetterla di limitarmi. Tu ci vai a caccia, a me pure piace. Sì! Sono andata a caccia, con il tuo giubbotto che poi ho rimesso a posto ma… Devo aver fatto casino con l’appendiabiti, quando mi è caduto e l’ho rimesso lì…
  • Sara!
  • Ma dai, ma come fai a ricordarti sempre l’esatto centimetro in cui metti le tue cose. Sei impossibile! – la miglior difesa è l’attacco, per Sara – Io sono più brava di te a caccia!
  • Ah sì? Va bene. Quante ne hai catturate?
  • Io… non…. sei impossibile. Buona notte.- prese il giubbotto e uscì dalla stanza senza sbattere la porta per non svegliare la madre.

Michele sorrise asciugandosi la fronte sudata con la manica del pigiama. Tornò a dormire.

 

***

Sono una cacciatrice.
Mi piace seguire la preda prima di catturarla. Sono una cacciatrice e un’osservatrice. Ma devo stare attenta: se la preda mi vede, se si accorge di me, può scappare e diventa più difficile da prendere.

Ho seguito il mio esemplare fin nella sua tana. Poi non ho resistito, ho dovuto infilare anch’io il mio bel musetto nel buco. Sono istintiva, improvviso.
Purtroppo però, temo di essere stata vista. Forse la caccia non è compromessa del tutto. Ma è meglio chiuderla presto, domani stesso. Non ho mai perso una preda…
Sono una cacciatrice, io. Anche se i miei fratelli non approvano.

 

***

La sveglia squillò severa e impietosa. Non c’era molto spazio per dormire ancora. Non con quel suono appositamente studiato per disturbare. Ti penetrava nel cervello, ti raggiungeva nei sogni, ti prendeva per un orecchio e ti portava fuori.
Michele si svegliò. Con sforzo sovrumano colpì la sveglia zittendola.
Che cavolo di ore sono? Si domandò, ancora stordito.
Guardò l’orologio digitale sul comodino. Le nove. Considerando la nottata turbolenta, si era regalato un paio d’ore più del solito, sperava bastassero a recuperare. Non fu così.
Stanco e bastonato, lievemente nauseato dal post-sbornia, si alzò dal letto e si diresse incerto verso il bagno per la doccia energizzante.
Dopo essersi lavato e tonificato attivò la mattina, in tutta la normalità di una domenica autunnale. Colazione, qualche scherzo e battuta con sorella minore e madre. Un pizzico di malinconia al pensiero che aveva già trent’anni e viveva ancora con la mamma. Non aveva una fidanzata né conosceva nessuna donna che valesse la pena. Era lontano anni luce dal farsi una famiglia sua.
Non che la vita annoiasse Michele. Solo che il lavoro, le nutrie, madre e sorella, non bastavano più. Gli mancava una persona con cui litigare, tanto poi si fa pace. Ma Michele era fratello ed era padre, o almeno svolgeva le funzioni di padre. Non aveva tanto tempo per la malinconia. E se ne dimenticò.
I pensieri tristi scomparvero quando incominciò a sistemare la siepe. Cipresso di Leyland, pianta sempreverde, forte, robusta e resistente ad ogni temperatura. Non richiedeva molte attenzioni. Solo due potature ed un po’ d’acqua. Autunno: una tosatura era ormai indispensabile altrimenti il marciapiede intorno alla villetta sarebbe diventato presto impraticabile. Amava il profumo dell’erba tagliata. Probabilmente nella vita passata era stato mucca. Sorrise a quel pensiero.
Man mano che tagliava la cinta verde, l’odore dell’erba mutò nella sua percezione. Pian piano, senza fretta, senza salti, in modo dolce ma costante, il profumo della pianta tagliata si trasformò nell’odorosa essenza percepita la mattina precedente nella campagna lombarda. Come allora, l’impatto fu prepotente, l’eccitazione incontenibile.
Quel profumo entrava nelle narici e da esse si espandeva, dilagando in tutto il corpo. In particolare, la sostanza odorosa sembrava accumularsi nell’addome, nella pancia e nella gola. Queste parti cominciarono dapprima a pulsare, per poi tirare. Come gli ami da pesca infilzano la guancia del pesce e poi lo tirano inesorabilmente verso il pescatore, così quel profumo tirava e trascinava l’addome, la pancia e la gola di Michele.
Non era possibile resistere. Il cacciatore di nutrie lasciò cadere il tosa-siepi a terra. Così come si trovava vestito, tuta, felpa e scarpe da ginnastica, salì in macchina e partì.
Dopo poco arrivò a destinazione: la campagna, il luogo di caccia del giorno prima.
Uscito dall’auto incominciò a camminare nell’aria frizzante, incurante del fango che schizzava dai piedi su per le caviglie.
Tirato da invisibile lenza, Michele camminava in direzione ignota ma inevitabile. Intuiva la rotta verso cui procedere ma non conosceva la meta. Il passo accelerava sempre di più fino a trasformarsi in marcia, corsetta e poi corsa veloce.
Affannava, annaspava, sbuffava correndo tra l’erba e il fango, attirato dell’emozione di una passione sconosciuta. Nell’eccitazione del momento, ipnotizzato da un profumo ignoto ma sensualmente familiare, il cacciatore di nutrie correva perdendosi nella campagna Lombarda.
Il cuore gli batteva veloce in petto quando si arrestò. Dinanzi a lui, un boschetto dissonante spaccava la piatta monotonia agreste.

Non sapeva ci fosse un bosco alle porte di Cernusco… Non così fitto, non cosi estraneo.
Michele proseguì a passo lento, inoltrandosi nella macchia verde. Il bosco ben presto si tramutò in foresta e la luminosa mattina divenne ombreggiata, coperta dalle fronde verdi di alberi giganti.
E poi la vide. L’origine del profumo, la sorgente della sua passione: la Dea bruna, la donna della notte, la protagonista delle sue visioni e dei suoi sogni. L’oggetto del suo desiderio.
Era completamente svestita, appoggiata ad un enorme castagno.

  • Sei arrivato, finalmente!- disse lei –Ti stavo aspettando.
  • Stavi aspettando…. Me?- Michele era confuso. Ma felice.
  • Vieni-lei lo invitò con la mano.

La lenza tirò addome, pancia e gola. Michele non poteva resistere. Si mosse fino a prenderle la mano. Era calda, morbida.

  • Benvenuto a casa mia- disse la Dea.
  • Casa tua?-
  • Si, questa è casa mia- accennò all’albero.
  • Tu… vivi sull’albero?
  • No!- ridacchiò lei – io vivo lì!- indicò le radici.
  • Non capisco…
  • Non importa.
  • Come ti chiami?

Lei disse il suo nome ma Michele non lo capì. Era troppo infatuato, troppo confuso.
La Dea lo baciò. Poi lo spogliò. Senza capire come, il cacciatore di nutrie si ritrovò steso a terra in posizione supina, con la donna più sensuale del mondo sopra di lui. Lo guardava negli occhi e sorrideva.
Michele era esattamente dove aveva bramato di essere, in compagnia di chi aveva desiderato con tutte le sue forze. Tuttavia, le sensazioni che provava non erano esattamente quelle da lui tanto agognate. Si sentiva eccitato ma allo stesso tempo… svuotato. Più il desiderio cresceva, più la sua energia diminuiva. Man mano che la sua compagna lo trascinava nella passione, le sue forze venivano meno, finché non fu talmente vuoto da non riuscire a muovere nemmeno un muscolo. Era completamente succube della sua dominatrice, quando capì… Ma era ormai troppo tardi. La guardava negli occhi e riconobbe lo sguardo. Riconobbe il fantasma, riconobbe i bulbi bianchi nell’angolo buio, gli occhi che terrorizzano la notte. Capì che quella sopra di lui non era un essere umano. Intuì che la propria fine era vicina.
Lei lo stava uccidendo, gli stava portando via la vita.

  • Ti… prego.- disse lui con voce debole, quasi impercettibile – Non… mi… uccidere…
  • Io sono una cacciatrice.- rispose lei succhiando avida l’energia della preda.
  • Ho… una madre… una sorella… chi si occuperà di loro?
  • Non ti angustiare. – lo rassicurò lei – Tua sorella forse partorirà le mie prossime prede. Tua madre vivrà una vita umana, fino a quando sarà. Hanno fatto a meno del padre, del marito. Faranno a meno del fratello, del figlio.
  • Io… non voglio morire…- disse Michele nell’ultimo disperato tentativo.

La vide sorridere mentre gli succhiava l’ultimo palpito di energia vitale. Poi più nulla.
Così, Michele, il cacciatore di nutrie, imparò l’ultima lezione: non importa quanto in alto ti trovi nella catena alimentare, non importa che predatore sei, c’è sempre qualcuno per cui tu sei solo una preda.

***

Ho finito il mio pasto. C’era tanta energia in questo umano.
Anche lui ha implorato per la sua vita. Lo fanno tutti. Speravo che costui non lo facesse. Era un cacciatore. Spietato. L’ho scelto apposta. Pensavo conoscesse le leggi della caccia. Credevo capisse ed accettasse la sorte di preda. Invece no. Spietato come cacciatore, timoroso quando preda. Come tutti gli altri. Sono un po’ delusa.
Non ha capito il mio nome. Che strano. Risulta difficile per molti. Eppure è semplice: Lilith. Potrebbe sembrare umano. In fondo sono stata umana anch’io, tanti secoli fa, prima di diventare demone. Ormai di umano mi è rimasto solo il nome e le passioni.

  • Ciao Lilith, hai appena mangiato, vedo.
  • Naama, sorella mia… Non mi piace quando compari dietro alle mie spalle. Lo sai.
  • Te ne sei accorta però. Non sono riuscita a sorprenderti!
  • Io sono una cacciatrice, io sono Lilith! Nulla può cogliermi di sorpresa.
  • Cacciatrice, eh? Lo sai che i nostri fratelli non approvano.
  • E allora? Mi sono mai curata di chi mi vuole sottomessa? Ricordi Adamo, millenni fa? Il mio primo marito? Non mi sono sottomessa a lui allora, non bado ai miei fratelli oggi.
  • Neanche Samael approva.
  • Oh, il mio dolce Romeo! Me ne frego!
  • Però! L’hai proprio prosciugato questo umano!

E’ vero, sono riuscita ad assorbire tutto dal cacciatore di nutrie, sembra una mummia rinsecchita ora.

  • Io non getto nulla delle mie prede Naama. E’ una forma di rispetto per la vita che ho preso.
  • Figurati! Rispetto per la vita, tu? Lillith? Un demone che abita la prima radice dell’albero della morte?

Ma cosa vuole questa da me? Mi disturba dopo il mio pasto, mi parla dei miei fratelli, mi ricorda del mio fidanzato Samael. Cosa vuole da me?

  • Cosa vuoi Naama? Parla chiaro o sparisci, che dopo il pasto amo riposare nella mia radice.
  • Lui mi ha mandata. L’Angelo Oscuro, l’Imperdonabile Ingannatore, ci vuole a raccolta, ché non solo di divertimenti è fatta l’esistenza di un demone. Dai Lillith, apri il portale, crea il tunnel, che si è fatto tardi e dobbiamo procedere in fretta.

Chiamata a raccolta. In effetti la caccia è solo una tra le mille occupazioni di un demone. L’immortalità ha le sue regole, i suoi doveri. A questi impegni non ero assoggettata quando vivevo da umana nell’Eden, con
Adamo.
Ma ora sono un demone.
E sono una cacciatrice. Anche se i miei fratelli non approvano.