Giornata contro l’Omofobia: un incontro a Cologno il 17 maggio

Un dibattito sul libro di Marco Termenana: "Mio figlio. L'amore che non ho fatto in tempo a dirgli"

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L’Amministrazione Comunale di Cologno Monzese ha deciso di ricordare la Giornata Internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia indetta per il 17 maggio di ogni anno con la risoluzione del Parlamento Europeo del 26 aprile 2007.

Giornata contro l’omofobia

Venerdì 17 alle ore 21.00 la Sala Pertini di Villa Casati ospiterà una riflessione sul libro di Marco Termenana: “Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli”.

Con la presenza del Sindaco di Cologno Monzese Stefano Zanelli, introdurrà la serata Loredana Manzi, Vicesindaco ed Assessore alla Cultura ed allo Sport. Modera la serata il giornalista Fabio Benati, ormai storica spalla dell’autore nelle sue serate lombarde.

Marco Termenana

Marco Termenana

con lo pseudonimo di El Grinta, sullo stesso argomento, ha già pubblicato “Giuseppe“. I romanzi sono ispirati al suicidio di Giuseppe, il primo dei tre figli, quando in una notte di marzo 2014 apre la finestra della sua camera, all’ottavo piano di un palazzo a Milano, e si lancia nel vuoto.

Con lucidità impressionante e senza mai cadere nella retorica, la storia racconta il (mal) vivere di chi si è sentito sin dall’adolescenza intrappolato nel proprio corpo: la storia di Giuseppe è infatti anche la storia di Noemi, alter ego femminile, che assume contorni definiti nella vita dei genitori solo nel momento in cui si toglie la vita.

Tragedia non solo di mancata transessualità ma anche di mortale isolamento, al secolo hikikomori. Ricordiamo che hikikomori è un termine giapponese e letteralmente significa “stare in disparte”: in sostanza, si tratta di una malattia mentale consistente nella scelta di rifuggire dalla vita sociale e familiare e colpisce soprattutto i ragazzi giovani.

Giuseppe

«Non è la prima volta –commenta l’autore del libro Marco Termenanache la storia e quindi la memoria di Giuseppe viene colta per aiutare a far riflettere altri. Credo che, dopo anni che giro per l’Italia, la mia idea fissa si conosca: ho scritto solo per ritrovare mio figlio perché il dolore era (ed è) atroce e non si sopravvive senza un adeguato meccanismo compensativo, che ho trovato nella scrittura».

«Se con la mia testimonianza posso portare valore aggiunto, sono contento e così avrò, di fatto, dato anche senso alla stupida ed inutile morte di mio figlio -conclude l’autoreLa mia disperazione viene sempre scambiata per coraggio, ma, sta di fatto, che il mio raccontare le cose in modo schietto e verace, da quello che ho capito, aiuta a riflettere e a sviluppare un’azione di autodiagnosi. Ed è questo quello di cui forse abbiamo bisogno, indipendentemente dal transessualismo e dall’hikikomori».