Il sogno di una vita

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“Signorina Loti?”

Nessuna risposta.

Bussò nuovamente e chiamò la proprietaria di casa a voce più alta.

Magari non c’era nessuno.

Eppure, era stata mandata in quanto uno dei vicini aveva chiamato la polizia dopo aver notato che la signorina era da settimane che non usciva di casa.

“L’ho vista entrare, ma non l’ho più vista uscire, e mi creda, ogni volta che qualcuno apre quella dannata vecchia porta si sente. Deve esserle successo qualcosa!” aveva detto la donna al telefono.

“Nessuno dei suoi colleghi si è preoccupato di non averla più vista al lavoro?” aveva chiesto Silvia, prima di lasciare la centrale.

“E’ una ricercatrice scientifica. Stava lavorando a un progetto, i colleghi hanno detto che era molto stanca e stressata ultimamente, per questo le avevano consigliato di prendersi delle ferie. Molto probabilmente quella donna si sta solo riposando e la vicina si è allarmata per niente” le era stato risposto.

Provò a girare la maniglia, e la porta si aprì.

“C’è qualcuno? Sono un agente di polizia!” si annunciò.

L’appartamento puzzava. Nell’oscurità che la circondava un paio di lucine lampeggiavano, emettendo dei rumori, simili a quelli dei macchinari di un ospedale. Silvia, come una falena attirata da una lampada, camminò in quella direzione.

Quando veniva chiamata per situazioni del genere, le era capitato di trovare appartamenti vuoti perchè la persona in questione era scappata senza dirlo a nessuno, o, purtroppo, corpi ormai freddi.

Quello che Silvia vide quel giorno era qualcosa che mai si sarebbe immaginata.

La giovane donna era seduta su una grande poltrona rossa. Se non fosse stato per il suo petto che si alzava e bassava, sarebbe sembrata sicuramente morta.

Sulla sua testa vi era un piccolo casco grigio, come quello dei parrucchieri, ma sembrava pesante, e da questo partivano diversi cavi che finivano in due macchine diverse, una alla sua destra e una alla sua sinistra. Da questo lato vi erano un altro macchinario con uno piccolo schermo sul quale era chiaramente visibile il battito cardiaco della donna.

“Che cosa sta succedendo qui?” chiese Silvia ad alta voce, tra il curioso e lo spaventato.

La donna era viva, non c’erano dubbi, ma cosa erano tutti quei cavi e quelle macchine?

La signorina Loti stava lavorando a un progetto, era quello?

“Mi sente?” chiese, avvicinandosi.

Provò a scuotere, leggermente, la donna, ma questa non si svegliò.

“Forse se spengo le macchine” pensò. Ma come si facevano a spegnere? C’erano troppi pulsanti.

Così, non appena individuò la presa della corrente, si avvicinò a questa, e fu allora che vede il post-it sul muro.

LEGGERE FOGLIO SUL TAVOLO IN CUCINA

Silvia capì che prima di fare qualsiasi cosa avrebbe dovuto leggere quel foglio nel quale era sicura di trovare le risposte a tutte le sue domande.

 

SETTIMANE PRIMA

Fin da quando era piccola la gente le chiedeva spesso cosa sognava di fare da grande. Da bambina la sua risposta era stata la ballerina, un classico, e crescendo divenne poi l’archeologa.

Ma all’età di trent’anni, dopo essersi laureata, il suo sogno divenne studiare i sogni.

Da sempre la scienza aveva cercato di dare risposte a domande come: cosa sono i sogni? Servono a qualcosa? Cosa succede alla nostra mente e corpo mentre sogniamo? Esistono davvero i sogni premonitori?

Le sue ricerche, tra scienza, psicologia, persino l’esoterismo, l’avevano portata a essere a capo di un progetto che era diventato la sua vita.

Insieme al suo team aveva studiato il corpo umano durante i sogni, aveva cercato di capire come si generassero, se fossero utili a qualcosa, perchè si sognavano certe cose, e se potevano essere indotti, controllati.

Molte persone infatti pensavano che se si pensava a qualcosa, molto intensamente, prima di andar a letto, la si sarebbe poi sognata. Altri ancora sostenevano che c’erano individui in grado di controllare i sogni.

La sua ricerca serviva proprio a dare risposte a queste domande e finalmente, dopo anni e anni, vita sociale inesistente per via della mancanza di tempo, nottate passate in laboratorio, e molte porte chiuse in faccia dalla comunità scientifica, che la riteneva una pazza, Clara era sicura di essere arrivata a realizzare il suo sogno.

Dreams maker, era il nome del macchinario. Questo, attraverso delle onde che arrivavano direttamente al cervello, non solo induceva il sonno, ma stimolava i sogni.  Nonostante il corpo fosse assopito, e nella fase di sonno REM, il cervello, o meglio, una piccola parte di questo, rimaneva sveglio. Questo permetteva alla persona di essere la protagonista dei propri sogni.

Clara era stata la prima a provare la macchina. Si era sentita come in un videogioco in cui lei era sia la protagonista che il giocatore con in mano il joystick.

Quello che avevano capito, durante la ricerca, era che qualsiasi cosa si sognasse si basava su ricordi. Luoghi visitati, persone conosciute, o anche solo incrociate per strada.

Il sogno partiva da qualsiasi informazione, ricordo, la mente aveva registrato.

Clara sapeva si trattava di un sogno, era consapevole di trovarsi su una poltrona, fredda e scomoda, nel laboratorio, circondata dal suo team, ma allo stesso tempo tutto sembrava così reale.

Il profumo di torta appena sfornata, la sensazione delle lenzuola sul suo corpo nudo, persino il calore del sole che entrava dalla finestra semi-aperta.

“Buon compleanno!”

La voce. Non era quella registrata della segreteria telefonica che ancora ascoltava ogni giorno, no, era la sua vera voce.

“Potrei aver esagerato con lo zucchero, ma dovrebbe essere comunque buona!”

La ragazza che stava parlando, con in mano una torta, si avvicinò al letto e la baciò.

Le sue labbra erano dolci, come lo zucchero che aveva messo nel dolce.

Quando Clara si svegliò, di soprassalto, il letto, la ragazza, il profumo, tutto era svanito.

Era tornata nel laboratorio, e ce l’avevano fatta.

Il suo sogno era diventato realtà.

Ma allo stesso tempo, quel sogno, non era la realtà.

E Clara, non era pronta a condividere la sua scoperta con il mondo.

“Voglio davvero essere sicura che non ci siano pericoli per la persona che utilizza la macchina” aveva detto ai suoi colleghi. Stessa cosa che aveva ripetuto all’uomo della sicurezza che l’aveva vista prendere il Dreams maker per portarlo a casa.

Non aveva avuto ripensamenti mentre connetteva la macchina alla corrente del suo appartamento, o mentre scriveva la lettera. Si chiese chi l’avrebbe mai letta.

Sapeva a cosa andava incontro, mentre si sedeva, indossando il pesante casco.

Sapeva, mentre si guardava intorno, che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe rivisto quelle quattro mura che per lei erano diventate come una prigione.

 

PRESENTE

Silvia si sedette, e cominciò a leggere la lettera:

Pensavo che questo fosse il sogno di una vita, e forse lo è stato.

Ma che vita è la mia?

Cammino, respiro, vedo, parlo, sento, ma mi sembra che questa vita, la realtà, sia in realtà un sogno dal quale prima o poi mi sveglierò, eppure, non è così.

Mi manca.

So che lei non c’è più, non è reale né qui, né nei miei sogni, è solo un ricordo ormai, ma grazie a dreams maker la posso vedere, la posso toccare e finalmente, sognando, io torno a vivere.

Tu che in questo momento stai leggendo la mia lettera, non so chi sei, uno dei miei colleghi forse, o magari qualcuno mandato da quella simpatica vecchietta che vive qui accanto e mi guarda sempre con aria preoccupata, ti prego, non staccare quelle spine, non spegnere la macchina.

Mi rendo conto di cosa ti sto chiedendo, ma è questo quello che voglio. So che il mio corpo, su questa poltrona, prima o poi smetterà di essere vivo, ma non soffrirò, perchè starò sognando.

Starò finalmente vivendo il sogno della mia vita.

 

 

 

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