Il sogno di Muhammad

categories="13381,12868,6030,12964,9217,13794,12762,12863,12742,12741,12743,12862,12744,12746,12745,12747,12748,12865,12866,12799,12749,12763,12750,12864,12751,12867,12752,6546,16899,12965,6542,3,12980,210,17281,17282,17283,17284,12962,6126,13798,12981,287,1,12966,12961,12976,2916,5857,9608,12505,14138,14139,13781,6544,13496,7153,6534,5184,12977,6031,9215,6523,10994,6522,1545,6421,10995,10993,13198,361,13290,12821,12800,6062,8672,16701,16702,16703,6,5856,12959,9216,9218,27,101,14566,13209,6511,12963,12816,427" random="1" limit="1"]

Mi chiamo Muhammad e ho 14 anni.
In questo momento mi trovo su una barca. Una barca che non è una vera barca, ma una specie di gommone, almeno credo, siamo così tanti qua sopra che non riesco a vederne neanche un pezzo.
Scrivo di nascosto, per questo potrei sembrare incerto. Di sicuro sono spaventato, perché abbiamo appena lasciato la costa, la mia terra: solo pochi minuti e già ci gridano di tutto.
Ci sono due uomini alti e forti che comandano, sono quelli a cui i miei genitori hanno dato i loro soldi per farmi scappare, so che hanno chiesto aiuto a quelli della città. Io non li ho mai visti prima. Ci hanno fatti salire in fretta, spingendoci, qualcuno è caduto, è stato calpestato e l’hanno lasciato lì ancora prima di partire.
Vedo la costa che si allontana, il sole è già caldo e temo di non uscirne vivo… non avevo mai provato una cosa del genere prima d’ora.
In più non so dove siamo diretti, ci hanno detto l’Italia, perché è vicina, e poi lì qualcosa succederà, almeno spero perché non ho nessuno che mi aspetta. Dicono che non devo aver paura, che il percorso è breve, il tempo bello, la costa vicina. Allora provo a non ascoltare il terrore che mi prende la pancia.
Evito di guardarmi intorno, mi fisso sulla spiaggia che si allontana, le palme scure, l’oro e l’azzurro del primo mattino e penso.

Mi chiamo Muhammad, ho 14 anni e ho attraversato il deserto scappando a piedi, nascosto su un camion e poi ancora a piedi per arrivare su questa barca, mischiato a un centinaio di persone che non conosco – uomini, donne, bambini che piangono – per andare nel paese di cui parlano al mio villaggio. Non so più niente dei miei compagni di viaggio, quelli incontrati fino ad ora, neri come me e mai dimenticherò i loro occhi, brillanti nel buio dei nostri nascondigli, durante i viaggi di notte, quando stavamo accucciati, nascosti sotto i teli. Parlavamo piano e ci raccontavamo storie, per consolare la nostra unica colpa, quella di esistere.

Chissà se è sicura, questa barca. Non è come mi aspettavo: è vecchia, piena di toppe, sporca. E poi c’è caldo, e puzza, e sete. Forse sto sognando, o forse sto solo scappando, non lo so ancora. Scappo dai miei problemi e da quelli della mia famiglia, che poi non sono solo i miei ma gli stessi per tutti, qua sopra: siamo tutti uguali, mezzi nudi, sudati e già stanchi.
Immagino che presto finiremo l’acqua e mi sembrerà di morire. Poi non so nuotare, e sicuramente potrebbe essere un problema: siamo in troppi, ci sono gambe, mani, facce dappertutto. Ho fame, caldo – crepo già dal sole anche se è mattino presto – ho male a una gamba e devo fare pipì.

La costa è piatta, non l’avevo mai vista prima d’ora perché vivo nell’interno, dove c’è una sabbia diversa: dovrei non provare niente, magari essere felice e invece mi sento male. In fondo la costa è la mia casa… il mio Paese.
Da me però c’è la guerra, la fame, e manca l’acqua (ho una specie di fissa con l’acqua, io): chissà se i miei lo sanno, dove sono diretto.
Cosa troverò? Ci accoglieranno? Ci spareranno come a casa mia? Ci daranno una casa, un lavoro, una nuova vita? Non ne ho idea. Jamaal, che è tornato da pochi giorni, dice che c’è posto per tutti, che si mangia bene, che non ci sono problemi, che andrò a scuola. Dice di andare, che il mare è poca cosa, che sta piatto piatto in questa stagione. Di mettermi tranquillo perché solo qualcuno non ce la fa. E allora andiamo, perché no? Ho solo 14 anni e tutta la vita da vivere.

La costa. E’ bellissima la mia costa.
E’ sottile e sembra la striscia che lasciano gli aerei quando portano lontano. Io non ci sono mai salito su un aereo, perché non ho un documento, nessuno mi lascerebbe partire. La striscia, mentre si allontana, si trasforma e prende vita, diventa la mia casa, la mia gente, la mamma.
La mia mamma sembra vecchia, non la rivedrò più? Lei mi ha detto: “vai, tu sei giovane e forte, riuscirai a passare il mare”.
Ma io non volevo passare il mare, oppure sì, sono anche curioso.
Ma adesso il mio cuore è diviso in due: sono Muhammad e l’avventura mi attira tantissimo. Me l’hanno raccontata, l’Italia: ci sono le montagne, il mare che poi è lo stesso mare che c’è qua, ci sono le città. Me le hanno raccontate anche quelle con le case alte, le persone che vanno di fretta, i negozi e le macchine,
Nel mio villaggio non ci sono macchine, solo quelle che portano il cibo, ogni tanto, e quella del prete.
Non avevo ancora ripensato alla mia terra, e in questo momento mi manca anche se sono  partito da poco tempo. La vedo, è davanti a me. Se sapessi nuotare potrei scendere da questo coso brutto e puzzolente per tornare. Camminare, camminare, camminare e tornare a casa.
Che poi, per quel che ne so io, potrebbe non esserci già più la mia casa, potrebbero averle tirato contro una bomba… non posso saperlo, non ho contatti con nessuno qua, e viaggio da giorni per poter salire qua sopra.
I miei fratelli, la scuola del villaggio… mi sembrano lontanissimi. Io ci andavo a scuola, per questo so scrivere. Era quella della missione di Don Gino, è lui che ci parlava dell’Italia qualche volta. Ci ha parlato anche del razzismo. Io però non ho capito bene cosa sia, a me non dà fastidio che Don Gino abbia la pelle bianca. Che differenza fa?

Adesso non vedo l’ora di arrivare, anche se il mare diventa profondo come un pozzo nero, le onde iniziano a salire troppo alte per me. Sembra arrabbiato con noi, forse è per tutti questi mocciosi che piangono e strillano, sono loro che mi distraggono dalla costa che è diventata un puntino piccolo.
Però, più ci allontaniamo, più mi prende la paura, mi viene addirittura la tremarella: e se poi non mi accetteranno e mi rimanderanno indietro? Non so se potrei risalire su questa cosa che mi fa sobbalzare in continuazione e mi spaventa il cuore. Ho visto soffrire e morire tanti compagni e chissà se sarò capace di provare emozioni diverse dall’odio e dalla rabbia. Io però non sono così, io vorrei ridere e amare ed essere felice, vorrei curare le mie mani ferite e la mia anima triste.
Penso che in Italia forse potrò trovare una nuova casa, dei fratelli. Una mamma no, perché ho già la mia. Ma tanti fratelli sì. Anzi penso che siamo tutti fratelli e che mi daranno qualcosa da fare: so lavorare bene e sono furbo.
Devo solo restare tranquillo: Jamaal mi ha già detto tutto quello che mi succede adesso. Mi faranno salire su una grande nave e mi daranno una coperta, mi metteranno in fila con gli altri e mi vestiranno con abiti nuovi, mi daranno da bere e da mangiare, un letto dove dormire e poi mi lasceranno pregare. Sarò felice, credo.
Allora allungo un braccio fuori dal gommone e mi stendo fino a toccare la superficie dell’acqua increspata di onde. Mi unisco al blu, a questo abisso e prego ché mi tenga vivo e non mi porti via con sé. Glielo dico proprio con la voce: “mare mio, tienimi vivo, tienimi vivo fino alla fine”.

Allora adesso, se questo mare non si muove troppo, se si dà una calmata, se quelle onde che arrivano improvvise smettono di spaventare tutti, farci piangere e gridare, io provo a dormire perché mi sembrano secoli che non chiudo gli occhi: addio casa, mamma, scuola. Addio fratelli e sorelle.
Allah è Grande e io sono Muhammad, ho 14 anni e devo iniziare a vivere.

 

 

 

Vota il tuo racconto preferito della Nona Edizione del Concorso Letterario “Liberi di Scrivere”

Hai raggiunto il limite di votazioni disponibili.