Detesto la pastina. Per i pochi fortunati che non la conoscono una breve descrizione è d’obbligo: è composta da miseri, piccoli pezzi ovoidali di pasta scotta, immersi in un nauseabondo brodo, oleoso alla vista, vagamente marrone, denso e immoto come putrida acqua di palude o scolo laterale di fogna; il tutto a volte intorbidito da una manciata di formaggio grattugiato.
Schifosa alla vista, all’odorato e soprattutto al gusto. Quando la portano a tavola, oscillando si muove compatta e sporca in modo irrimediabile i bordi del piatto, lasciando una scia di detriti, come uova di batteri che avvelenano la vita.
Odio profondamente, senza possibilità di riscatto, la maledetta pastina. Durante l’infanzia, la sera, me la propinavano “Bella calda, mangia che fa bene…“. Tornando a casa dai giochi avvertivo fin dal pianerottolo la puzza che rendeva invivibile ogni angolo della casa, mi si torcevano lo stomaco e le budella; terrorizzato cercavo scuse, malanni improvvisi, coliche e dolori per evitarla, ma non c’era verso; sicura come la morte, avrebbe ammorbato i miei sensi, lasciando in un innocente il segno indelebile dell’ingiustizia, della condanna… In più la dovevo mangiare bollente, scendeva come lava, bruciando la lingua, la gola, ogni mucosa dell’apparato digerente e del mio corpo martoriato. Anche il dannato cucchiaio era bollente e mi scottava le labbra, avrei voluto gettarlo contro il muro e con un pugno ribaltare il piatto, spargendo quell’abominevole intruglio per tutta la cucina. E sorridevano gli incauti “Assaggia, è così buona, mette a posto lo stomaco, un altro cucchiaio, dai…“. Da quando potei dire “No! Mangiatevela voi!“, non l’ho più avvicinata e per tutti i decenni successivi, maturando, ho sempre sospettato molto di chi evocava quel nome o addirittura ne tesseva le lodi. Sospettoso e pericoloso.
Per questo ora sono qui, appoggiato a un frassino o simile, sorseggiando birra chiara calda da una lattina, mentre un vento leggero mi porta suoni e la notte è luminosa, illuminata.
Poco tempo fa sono andato in ospedale per una banale operazione, la prima della mia vita; la degenza si è prolungata per altrettanto banali complicazioni, niente di grave ma fastidiose. E, come ho scoperto quasi subito, l’ospedale rigurgita di infermiere; vagano, entrano nelle stanze, portano medicine, controllano, chiedono, parlano, parlano, parlano… Infermiere belle e brutte, simpatiche e antipatiche (più antipatiche che simpatiche), sicure di sé, inamovibili, tronfie del proprio essere infermiere. Nipoti corrotte, brutte copie di Florence Nightingale, un mio mito; donne la maggior parte, uomini qualcuno, senza sesso, senza passato e presente; avevo l’impressione che vivessero lì e lì stessero mettendo in atto la loro vendetta contro di me e contro il genere umano, l’intera umanità.
Sì, perché alle infermiere piace la pastina. Ne mangiano a quintali, anche a colazione, anche al pranzo di Natale, la sera dell’ultimo dell’anno mangiano pastina, le maledette; usano tutti i tipi consentiti e alcune varianti allucinogene, la mangiano anche cruda, come insane caramelle e la usano per le loro blasfeme pratiche sessuali, chi ama la pastina è sicuramente un pervertito. La adorano tanto che ogni sera con letizia ed allegria obbligano i pazienti a mangiarla. Arrivano garrule e chiedono quale variante vorremmo scegliere “Quale calda e buona pastina stasera, mio caro?“: sedanini, anellini, quadrucci, tubetti, semini, stelline… tutte contente per le deliziose variazioni in offerta. Le prime sere, ancora debole di spirito per l’operazione subita, dovetti sottostare al rito satanico, faccia a faccia con l’Anticristo; poi decisi che alla mia veneranda, nonché venerabile età non potevo, non dovevo sopportare oltre, e ho agito.
Poche ore fa sono uscito dalla camera, dopo aver malamente zittito il mio compagno di stanza che aveva da eccepire non so che. Sono uscito dal mio reparto, ho attraversato Cardiotoracico, la Medicina interna e sono sceso tramite le scale, poco frequentate, fino ai magazzini. Ho fatto razzia di tutti i contenitori che avevano ben chiaro il simbolo “sostanza altamente infiammabile, maneggiare con estrema cura” e a partire dalla dispensa, dalle cucine e dalla foresteria, dove le infermiere aspettano la fine del turno, ho dato fuoco all’ospedale. Un incendio di dimensioni strepitose, alto fino al cielo, abbagliante. Me lo sto godendo seduto sotto il frassino, ma sarà un frassino? Le fiamme illuminano la notte, sento lontane urla di terrore attraversare la valle e raggiungermi ovattate. Ora so quale è la mia missione, distruggere tutte le riserve di pastina del pianeta e sterminare chi le offre come se fossero una leccornia e non un’infamia. Finita la lattina, vado. Sono sicuro che a Dio non piace la pastina, è un’aberrazione non voluta del disegno di Creazione. Satana non ha corna in testa, ma una capigliatura di capelli d’angelo con sedanini e anellini come pidocchi immondi.