Avanzando lentamente, un vecchio cavallo grigio si era fermato davanti al sagrato della chiesa.
Sul carro che trainava, usato tante volte per trasportare fieno o masserizie in campagna, stava questa volta l’ultima residenza di Piero. Il pianale del carro sembrava respirare e sapere di quel vecchio, che un tempo aveva sudato e inchiodato una per una quelle assi e composto pavimento e pareti di quel barroccio. Il giorno prima temporale e vento forte avevano preparato quell’aria fresca e una luce che esaltava ogni colore. Otto robuste braccia si avvicinarono ed issarono la cassa su quattro robuste spalle, mentre otto scarpe esperte salivano rapidamente pochi gradini, scomparendo poi nel buio della chiesa. Buio ancor più buio, per tanta luce che era fuori. E quanta gente, tornata per quell’occasione…
In fondo tutta la comunità, che ormai viveva lontana da quel borgo abbandonato, si sentiva in debito con Piero. Quasi intuendo, ognuno nel suo segreto, che quella cosa in cui Piero era diverso da ciascuno di loro non era solo follia. Ma nessuno lo aveva mai riconosciuto, temendo di perdere qualcosa del proprio orgoglio: si trattava pur sempre di Piero il matto!
Decisero così di fargli un doveroso omaggio, tornando al paese per il funerale. Si osservavano l’un l’altro, assicurandosi di essere visti dai compaesani e nel contempo indagando su chi mancava, come ai vecchi tempi.
Sono certo che Piero si stesse facendo delle grandi risate. Magari passando loro vicino.
Perché “Quando uno c’è, c’è. Ma quando uno non c’è, non si sa dove sia”. E mai come allora quell’antico detto pareva indovinarla.
Fu “occhidispecchio” a trovarlo,
ancora con il sorriso sulle labbra, e gli occhi bene aperti.
Probabilmente se l’era fatta poco prima l’ultima grande risata,
insieme a quegli alberi che aveva sempre amato,
sotto quell’immenso cielo che lo proteggeva.
Come tante altre volte, Margherita era salita alla malga
dove Piero aveva passato ben più di metà della vita.
Da anni erano rimasti solo loro due: lui lassù, e occhidispecchio giù in paese.
Fin dalla culla, e poi più tardi quando si impara a camminare, Piero aveva mostrato una particolare predisposizione al sorriso. Diventato ragazzo, si era poi distinto dai coetanei per una incontenibile e contagiosa risata. Incomprensibile anche per lui, che però si sentiva felice quando rideva. Diventò Piero il matto per tutto il paese.
Matto anche per come correva.
Nelle gare rappresentava il suo paese, che per quelle occasioni camuffava l’accezione del vocabolo: anziché “pazzo” significava imprendibile, veloce quanto il vento etc. Era talmente veloce da non avere rivali. Ma ad ogni premiazione non poteva trattenere la sua risata, contagiando tutti i presenti.
Margherita ha 16 anni, canta ad alta voce
mentre pedala spostandosi da un lato all’altro della strada.
Mentre il suo sguardo racconta un pensiero perso,
il suo sorriso dice di meraviglia per un nulla.
Piero la vede per la prima volta. Ne ha sentito parlare,
sa di Margherita la pazza, che pazza lo è per davvero,
non come lui che la gente gli ha dato quel nome
ma un po’ si vergogna quando lo chiama così:
perché Piero ragiona, eccome, e corre, e vince.
Ma quella risata…ma come si fa? Mica è normale uno così!
Si fermano, Piero e Margherita, parlano,
poi si salutano e quando vanno,
quell’incontro resta dentro di loro.
E così Piero giunge a casa e si chiede cosa avesse quella ragazza negli occhi,
che sembrava di vedere la sua immagine riflessa negli occhi di lei.
E Margherita, mentre torna a casa, non canta più.
Però è felice, e non sa perché. E non se lo chiede.
Piero non aveva sempre vissuto in malga.
Giovane uomo, si era interessato di tutto quel che appassionava la comunità.
Tutto lo incuriosiva, fosse un concerto, uno spettacolo teatrale o una lezione tenuta da qualche importante studioso: ma quando il pubblico soddisfatto si apprestava a dare un caloroso applauso, ecco che esplodeva la sua risata fragorosa, incontenibile e contagiosa. E l’evento, per serio e solenne che fosse, si trovava sommerso da risate. Si era giunti a tale terrore da controllare, prima dell’inizio di ogni evento, che non ci fosse in giro Piero.
Il Sindaco aveva deciso di consultare la legge.
L’argomento della libertà di ridere era di non poca rilevanza per quel paese, tanto da essere stato introdotto nel regolamento comunale con un articolo che recitava presso a poco così:
“è concessa ad ogni cittadino la libertà di ridere per uno stesso motivo per un tempo ragionevole ed in modo adeguato alle circostanze”. Che in sé non voleva dir nulla o quasi, ma era il più alto punto di sintesi che la politica aveva saputo trovare.
Detto ciò, bisognava poi cercare modo di applicare in fase di giudizio questa norma, cosa che non era sempre facile, esponendo il giudice al rischio del ridicolo.
Il legislatore disse che avrebbe studiato bene il caso, perché non si poteva certo impedire alla gente di ridere. Bisognava sanzionare una risata calata in momenti inopportuni. Il gendarme assicurò che si sarebbe trovato pronto in ogni occasione sospetta. Il prete pregò che le sanzioni fossero efficaci ma lievi.
Così venne notificato a Piero un atto di allontanamento dal paese, che avrebbe potuto frequentare solo per motivi di comprovata necessità (tra i quali fu presto aggiunto il commercio della legna).
“Se dicono così avranno i loro buoni motivi” pensò tra sé Piero. Certo gli dispiaceva, ma cambiare non riusciva. Lui “era” la sua risata. E poi, a guardar bene, anche gli altri ridevano con lui, e di gusto.
Si trasferì alla malga.
Il casolare in montagna gli era stato lasciato dai “suoi” che riuscirono in un sol colpo a farlo contento e a liberarsene. Sì, perché quella risata, che giungeva puntuale in ogni momento
solenne della storia famigliare, aveva creato ormai un tale disagio che tutti non vedevano l’ora che Piero se ne andasse per i fatti suoi lontano dalla tranquilla aria di casa.
Si inventò boscaiolo. Si sarebbe guadagnato la vita vendendo la legna che tagliava. Non avrebbe più frequentato il paese, ma avrebbe imparato a parlare con gli alberi. E così andò. Occupandosi del bosco, gli alberi erano riconoscenti, e quando giungeva l’ora, per vetustà o necessità di sfoltimento, si facevano docilmente tagliare concludendo col canto del tonfo la loro avventura.
Qualche volta ritornava alla mente il ricordo di Margherita.
Così Piero pensò di inventare un nome.
E ricordando gli occhi di lei, decise che poteva essere “occhidispecchio”.
E lo scrisse sui muri di casa per non dimenticarlo.
Fino a quando un giorno qualcuno bussò alla porta.
Piero scendeva al paese e forniva tutta la legna necessaria. Nessuno restava al freddo d’inverno, e quanto ai soldi lo pagavano quel che chiedeva, che era sempre poco. Talvolta anche meno, e se uno non aveva da pagare lo avrebbe pagato un’altra volta. Acquistavano da lui tanta legna in tagli da camino e da costruzione e poi lo salutavano mentre se ne andava ridendo.
E commentando: “Ma che avrà da ridere?” si rispondevano: “Lascia stare, non vedi che è matto?”.
Sapeva bene Piero che lo chiamavano così, ma lasciava perdere. E poi qualche stranezza lui la vedeva in loro, che ridevano così poco. Tante lamentele, tanta insoddisfazione, tanta solitudine, rare risate.
Mille volte meglio la vita di lassù. Sentiva gli umori degli alberi e le risate che si facevano, da non trattener neanche una foglia… uno schizzo del torrente, il salto di una rana, il canto del gallo. E quando veniva il momento del taglio, ogni albero capiva. La fine di un albero era per Piero una delicata preghiera: nessuno è eterno, a parte il cielo, e loro, lui e l’albero, ben lo sapevano.
Fatto è che il corpo di Piero iniziava a sentire il passare delle stagioni. Era giunta anche per lui l’età più lenta, dove si conosce l’attesa e lo sguardo cambia. Di scendere non se la sentiva più, la stanchezza è un limite che non sente ragioni. Quindi se avessero avuto bisogno di legna lui non l’avrebbe negata: ma che venissero a prendersela. Il patto era sempre quello: dopo la consegna una gran risata insieme. Per il prezzo si sarebbe sempre trovato l’accordo.
Lentamente passavano i mesi. Arrivò il momento del riposo ed anche il bosco imparò a fare a meno di lui, dei suoi tagli. Il paese si rassegnò ad approvvigionarsi da un mercante di legna ad un altro prezzo, doloroso per le tasche.
Piero il matto scomparve dai pensieri del paese. Gli abitanti avevano altre cose per la testa: il tempo passava, i figli crescevano e si sa, le esigenze erano tante.
“Sono venuta per vedere dove vivi”.
Già, come fosse normale presentarsi dopo anni con questa domanda,
come ci si fosse visti ieri!
E non invece un bizzarro modo di una mente disturbata.
Già, perché uno “normale” mica si presenta in quel modo dopo anni,
mica pensa per anni ad un breve incontro per la strada, uno normale dimentica…
E poi non era vero: lei voleva sapere come Piero viveva,
quel che faceva nella sua giornata.
Voleva sapere il perché di quella risata
che prorompeva sempre nel momento conclusivo di un evento,
di una gara, di un discorso.
La risposta a quell’ultima domanda non arrivò mai.
Neppure lui la conosceva.
Semplicemente era più forte di lui e lo rendeva felice.
Il villaggio conobbe l’emigrazione, che svuotò presto ogni casa. Bisognava fare in fretta. Giungevano voci che nel paese vicino, più grande, e poi nella città vi fossero tante nuove opportunità di guadagno, che si potessero comperare tante cose che lì non c’erano, che si potesse essere tutti più ricchi. Sempre obbedendo a quel principio: “Bisogna migliorarsi nella vita”, gli abitanti del villaggio si convinsero che era meglio cambiare aria, e l’uno dopo l’altro, lasciarono il paese.
Restò Margherita.
A nascondersi tra gli alberi nei giorni più caldi,
ascoltando la voce delle foglie al passaggio del vento, che sembravano ridere.
Conservava il ricordo degli occhi aperti di Piero, quel giorno,
e la sua immagine riflessa negli occhi di lui come in uno specchio.
Non ci fu risposta. Non ci fu tempo.
E forse quel tempo non sarebbe arrivato mai.
Nella chiesa gremita, in un paese deserto, il prete ricordò come Piero era stato puro e sarebbe stato subito accolto nel giardino del Signore, il vecchio Sindaco ricordò di come negli anni ormai lontani e passati Piero era stato tanto vicino alla comunità non facendo mancare mai la legna a nessuno. E ben lo sapeva, lui che per primo aveva goduto del lavoro di Piero senza pagare.
Un ennesimo finale, si potrebbe dire. Un’altra conclusione che sarebbe stata seguita da altre storie per quella gente che viveva ormai lontana dal paese, tutta indaffarata a cercar conclusioni in ogni dove. Ma si concluse davvero lì la storia di Piero?
Piero fu sepolto su alla malga.
Margherita si occupò fin che visse di tenere ordine nella sua casa.
“Folle” nella sua solitudine, coccolava o bistrattava la montagna con il suo canto, vivendo nel ricordo di Piero e della sua apparente conclusione.
“Forse Piero è qui con me anche se non lo vedo”, pensava talvolta quando si ritrovava a ridere e parlare con gli alberi, come le aveva insegnato lui. Non lasciò mai il paese.
Un paese deserto, i cui abitanti erano andati in cerca di migliori condizioni spostandosi verso la città, con i loro desideri, le loro ambizioni, i loro amori, i loro egoismi, le loro solitudini. Con il loro pesante carico di certezze e poche risate. E forse un po’ intimoriti da una risata portata dal vento che sembrava scendere a valle ogni volta che un albero cadeva.