La trombetta magica

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C’era una volta tanti, ma tanti anni fa, un contadino poverissimo di nome Angiolino, aveva un debito con il fattore che cresceva di anno in anno che non lo faceva più dormire.

Arrivò il giorno in cui il fattore si stancò e decise di risolvere la faccenda una volta per tutte: attaccò la cavalla al calesse e si diresse verso la casa di Angiolino.

Il contadino, sempre in campana, si aspettava quella visita: sborniò il calesse sulla strada e si dette subito a preparare le contromisure. Corse immediatamente nella stalla sotto casa, tirò fuori da un gabbione due conigliolini bianchi uguali spiccicati e andò in casa dalla moglie Rosina:

«Tieni questo conigliolino e mettilo sotto quella cesta, quando arriva il fattore prendilo e digli di venirmi a chiamare nel campo, perché il fattore mi vuole con urgenza.»

E se ne andò a nascondersi sotto il porticato con l’altro coniglio in braccio.

 

Arrivò il fattore scuro in volto e chiese dove fosse Angiolino.

«Ma dove vuole che sia, sor fattore, è là nel campo ad ammassare il fieno poveraccio, ora mando subito Bianchino a chiamarlo.»

Prese il coniglietto dalla cesta, lo mise sulla porta dicendo: «Su Bianchino, vai a chiamare Angiolino nel campo e digli di venire a casa, il sor fattore lo vuole.»

Il fattore assisteva alla scena inebetito, con due occhi sgranati per l’incredulità.

Di lì a poco arrivò il contadino, con il conigliolino (l’altro) tra le braccia, rivolgendosi al fattore: «Riverisco sor fattore, Bianchino mi ha detto che mi voleva urgentemente, dica…» e mise il coniglio sotto la cesta.

Il fattore non capiva più nulla, ma di una cosa era certo: voleva quel coniglio!

Ci fu una lunga trattativa sul prezzo alla fine Angiolino cedette l’animale, poi si rivolse al fattore: «Ma forse… era venuto a parlarmi di quel debito signor fattore?»

«Lascia perdere, ora con questo conigliolino siam pari!» e salì trionfante sul suo calesse, non vedeva l’ora di arrivare a casa per farlo vedere a sua moglie.

 

«Carolina, Carolinaaa, vieni a vedere che affare ha fatto il tuo maritino!» esclamò trafelato sulla porta di casa, «Torna dietro a stendere i panni e vedrai cosa sa fare Bianchino!».

Appena la moglie, stupita, varcò la soglia il fattore liberò Bianchino dicendogli di andare a chiamare la moglie dietro casa; ma l’animale rimase lì impalato a rosicchiare qualcosa sul pavimento.

«Su vai cosa aspetti? Vaiii maledetto coniglio!» e così accucciato lo trovò Carolina dopo un po’ che aspettava inutilmente. Il fattore tentò e ritentò (mentre la moglie sconsolata scuoteva la testa) finché disse: «Corpo di bacco, quello zoticone me l’ha fatta, ma domani l’aggiusto io!»

 

La mattina presto riattaccò il calesse, nero come un calabrone, deciso a sistemare il contadino. Angiolino però non dormiva sugli allori e si era preparato la difesa.

 

Il fattore entrò invelenito, senza bussare ed investì Angiolino con queste parole:

«Brutto zoticone! Ma chi ti credi di essere per prenderti gioco di…» non finì la frase perché fu colpito da una pentola che bolliva sbuffando su di un fornello spento, così cambiò discorso: «Angiolino…ma quella pentola come fa a bollire?»

«Ah, quella? » rispose il contadino con noncuranza «ce la lasciò tempo fa una vecchina per ricompensarci di averla accolta a cena da noi. Sa, lì per lì non ci credevo, poi… sapesse quanto denaro ci fa risparmiare! E… »

Il fattore non lo lasciò finire la frase: «La voglio! Me la devi vendere!»

«Ma ci fa tanto comodo, ci fa risparmiare tantissimo!» intervenne la moglie Rosa.

Dopo un lungo tira e molla il fattore conquistò a caro prezzo la pentola magica, dimenticandosi anche il motivo per cui era tornato.

 

«Carolina, Carolinaaa, corri, vieni a vedere!» esclamò il fattore appena tornato a casa «Riempila d’acqua, non occorre né fuoco né carbone, bolle da sola!»

La moglie riempì la pentola e la mise sul fornello, con il fuoco spento. Aspetta, aspetta, ma niente. Alla fine alzarono il coperchio e l’acqua era sempre marmata, come l’avevano messa.

«Ber mi’ citrullo, quel contadino t’ha infinocchiato un’altra volta!» sbottò Carolina.

 

Il fattore ribolliva di rabbia e attese impaziente il giorno dopo, per sistemare la cosa una volta per tutte. Avrebbe dato ad Angiolino la disdetta dal podere: gli aveva mancato di rispetto!

Angiolino però non dormiva ritto e si era preparato allo scontro decisivo.
Aveva riempito una busta di plastica con succo di pomodoro, l’aveva sigillata e l’aveva consegnata alla moglie: «Rosa, non far domande e quando arriva il fattore mettiti in seno questa bustina.»

 

La mattina seguente, di buon ora, eccoti il fattore entrare in casa come una furia:

«Brutto zoticone, furfante e delinquente, non ti bastava il coniglio eh? Ora anche con la pentola mi hai voluto prendere in giro, ma ora basta ti do il benservito, vattene dal podere!»

«Calma, sor fattore, calma, ragioniamo un po’: dunque, per quanto riguarda Bianchino, deve essersi confuso povera bestia, era abituato a chiamare solo me poverino… Sulla pentola fatata… forse ha ragione lei.» Si girò verso la cucina e chiamò: «Rosa, Rosaaa, vien qua! Senti un po’, sei sicura di non aver barattato la pentola del fattore

«No Angiolino, so…sono innocente.» rispose la moglie tremante.

«Perchè tremi? Non me la conti giusta strega, confessa, l’hai barattata vero?»

«Ebbene si Angiolino, ma l’ho fatto per il nostro bene, poveri come siamo ci aiutava tantissimo. Ora vado a prendere quella giusta, perdonami!» rispose la povera donna piangendo.

«No, brutta megera, tu non vai a prendere un bel niente! Guarda che figura mi hai fatto fare con una persona perbene come il fattore. Ora basta, t’ammazzo!» ed agguantò un coltellaccio, guarda caso a portata di mano sul tavolo.
Il fattore assisteva impietrito alla scena ed appena si riebbe un briciolo si rivolse ad Angiolino: «Suvvia, lasciala stare… non esagerare, via su, io la perdono, mi date la pentola giusta ed amici come prima.»

«No, non la perdono io questa donnaccia!» e giù una coltellata in pieno petto.

Il sangue (pomodoro) uscì abbondante dalla ferita e la donna stramazzò al suolo con un grido.

«Mamma mia, che hai fatto Angiolino, sei un assassino, andrai dritto in galera…» balbettò il fattore bianco come un cencio.
Il contadino, per niente preoccupato, si sedette e si rivolse al fattore: «Lasci stare sor fattore, venga a sedere e beviamoci un bicchiere. In galera non ci andrà nessuno.»

«Come? Ma che dici, l’hai ammazzata povera donna…» farfugliò il fattore impaurito.

«Maccheee! L’ho solo punita, ma senza arrivare a quel punto. Vede questa trombetta? è un regalo di una bella signora, tutta vestita di turchino, che un giorno incontrai sul tetto della mia casa. Stia a vedere.»
Si mise la trombetta alla bocca e… “perepere, perepeeere”.
Rosa riaprì gli occhi e, sospirando, si rivolse al marito: «Ce ne hai messo del tempo a farmi rinvivire!»

«Si, questa volta l’hai fatta troppo grossa e meritavi una punizione più severa. Ora datti una ripulita e vai a prendere quella benedetta pentola.»

Il poveraccio non ci capiva più nulla, ma il pensiero corse subito a suo figlio Cecchino, fuori corso da una vita, che stava finalmente per laurearsi in medicina, e a quello che avrebbe potuto fare con quella tromba.

«Macchè pentola, lascia stare, voglio la trombetta, ti darò tutto quello che vuoi!»

«Bravo, ma se io muoio, poi, chi mi rinvivisce? E poi… ma lo sa che fa rimarginare anche ogni ferita? Non fa solo rinvivire, ora le faccio vedere! Rosa…» ribattè il contadino.

«No, no ci credo, se fa rinvivire… per ciò che riguarda la tua paura, o che tu ne abbia bisogno per rinvivire o per sanare qualsiasi ferita…» disse il fattore «verrò io con Cecchino e la trombetta. Ti firmerò un atto dal notaio per questo, ma cedimi la tua tromba, ti darò tutto quello che vuoi!»

Seguì la solita lunga trattativa, alla fine il fattore acquistò la trombetta a carissimo prezzo.

 

Di volata tornò a casa, avrebbe dimostrato alla moglie che lui non era davvero un citrullo. Con quella trombetta sarebbero diventati ricchi sfondati, oltre ad assicurare un gran futuro a Cecchino.

Entrò in casa come un fulmine, tirò fuori dalla vetrina lo schioppo da caccia, vi mise dentro una cartuccia da cinghiali e chiamò la moglie a squarciagola.

La povera donna arrivò di volata, temendo fosse accaduto qualcosa. Sulla porta vide il marito con lo schioppo, si impaurì e girò le spalle per fuggire. Non fece neppure in tempo ad aprir bocca che… Buuum! La fucilata la colpì in pieno nel sedere e cadde a terra urlando, in un lago di sangue.

Il fattore la guardò sorridendo trionfante dicendole: «Non è niente Carolina, stai a vedere» disse alla moglie che urlava dal dolore come un’ ossessa. Con calma, prese dalla giacca la sua trombetta magica e… “perepere, perepeere, perepeeeeee”. Ma la moglie continuava a piangere ed urlare disperata.

 

Il rumore della schioppettata e le urla della povera donna non erano passati inosservati, alcuni si erano precipitati nella casa per vedere cosa stesse succedendo.

E cosa videro?

Carolina a terra in un lago di sangue che urlava di dolore e il fattore che le girava intorno strombazzando ininterrottamente.

Arrivarono i carabinieri. Il fattore fu arrestato e processato. Nel dibattimento continuò a raccontare di conigli che parlavano, di pentole magiche e trombette miracolose.
La moglie Carolina, in ospedale, fu curata, guarì, ma… non potè più sedersi per il resto dei suoi giorni.

 

Angiolino e Rosa, con il gruzzolo della trombetta, si comprarono una casetta in paese e vissero felici per il resto dei loro giorni.

 

Il proprietario del podere fece esaminare i registri e venne fuori, non solo che il debito di Angiolino non esisteva, ma che il fattore aveva truffato anche lui.

 

Il fattore finì in manicomio, ossessionato da strani sogni, fino alla fine dei suoi giorni.

 

E’ proprio vero:

Chi nasce brodo stretto… non può morir risotto.