Don Denis è stato irremovibile: l’organo va lasciato nella Sacrestia e il Coro, se deve provare, canta senza musica.
Tanto sono un bel gruppo tra soprani, contralti e bassi. Non c’è mica bisogno dell’accompagnamento. Cos’è? La Banda del paese? L’organo esce dalla Sacrestia solo quando viene il Vescovo, Sua Eccellenza. E basta.
Oppure, se proprio insistono, Paolino l’organista suona in Sacrestia e il Coro canta in Chiesa. Tanto si sentono.
“Ogni volta che lo portano fuori dalla stanza lo fanno strisciare e mi rigano il parquet; passano davanti alla Madonna del Soccorso dove nel pavimento c’è una piccola asperità – pensa Don Denis – (ah l’han fatta loro, sicuro) – e tutte le volte – come è vero Dio – mi urtano il candeliere e tutte le candele rotolano per la Chiesa, si infilano sotto i banchi. E mica me le raccolgono tutte, no, prendono solo quelle che vedono. E le altre toccano a me e all’Armida”.
Armida nel Coro non l’hanno voluta. Sarà per quello che, quando vede le candele per terra, si infuria ancora di più. L’ha presa come una cosa personale; comunque le raccoglie, le spolvera un po’ e le rimette a posto.
Che poi a voler vedere non sono nemmeno tanto sporche perché il Don, quando dà la benedizione, con l’aspersorio lava sempre il dipinto della Madonna e tutti gli schizzi finiscono sulle candele.
“Basta, basta non mi voglio arrabbiare – dice a se stesso Don Denis – . Perché quando i preti si arrabbiano, il Diavolo festeggia”.
è lunedì – giorno di prove – e i primi coristi si affacciano alla porta posteriore della Chiesa. Entrando tutti affondano la mano nel fonte battesimale, fanno il segno della croce e prendono posto tra i banchi, mentre lo sciabordio accompagna i loro passi.
Don Denis permette l’uso della Chiesa, la sera, per fare le prove. A patto che l’organo, ovviamente, rimanga dov’è.
«Sì, ma ci lascia stare in Chiesa solo perché qui il Don non accende mai il riscaldamento e quindi non paga – dice Angela – perché se avesse dovuto farci andare nel salone gli avremmo detto che si gelava. E allora… allora lo sentivi il tuo Don!»
«E già – continua Pina – ma quando Don Denis non c’è, perché va a Bergamo a fare gli Esercizi Spirituali, Don Amos fa andare troppo il riscaldamento, fino a 23 gradi, perché lui ha freddo e poi arrivano delle bollette, che guarda… »
«Perché, le paghi te le bollette? – incalza Angela – Oltre che veniamo a cantare, suoniamo il campanello dopo la Consacrazione, mettiamo a posto le sedie, tagliamo i rami dell’ulivo, tritiamo l’incenso… ci manca che stiamo al freddo!»
«Ma chi è quella che è morta… che oggi han fatto il Rosario? – si informa Teresa – perché ho letto bene i manifesti, ma il nome non mi dice niente. Però se han fatto la Messa qui, dovremmo conoscerla…»
«Ma sììì- risponde Mariangela – è quella che stava col fratello del prete che c’era cinque anni fa. Ti ricordi? Che il Don un po’ si vergognava perché lei… era separata! E infatti, giustamente, non veniva in Chiesa perché probabilmente si vergognava anche lei. Ma sai, oggi anche quando si muore, ci voglion le co-no-scen-ze. E anche se non abitava più qui… il Rosario l’han fatto uguale».
«Beh… ma lui, il marito… lì… come as disa adesso, il compagno?» – prosegue Teresa.
«Donne, basta pettegolezzi .. bisogna cantare!» La voce di uno dei pochi uomini, della sezione bassi, si fa sentire. Ma avere silenzio è un’impresa, servirebbe un miracolo.
«Ecco, siamo di nuovo senza organo. Uomini – Pierina indicai bassi – c’è da andare in Sacrestia a prenderlo».
Giancarlo si dissocia: «Ah no, non voglio avere grane con il Don. L’organo non si tocca».
Eugenio si nasconde dietro la colonna, fingendo di rispondere al cellulare.
Gino invece prende il toro per le corna.
«Pierina, te ghè da capi’ una volta per tutte che il Don non è contento se portiamo l’organo fuori dalla Sacrestia. Cantiamo su, prendi il quaderno. Dobbiamo provare il Gloria di Gounod».
«A me questo Gloria non piace – risponde piccata Pierina – era più bello quello che ci faceva fare la buonanima del Mario, 15 anni fa».
«Basta, basta – interviene Angela – donne uniamo le forze ed andiamo a prendere l’organo».
Dall’ensemble dei bassi una risata, quasi un ghigno, sale e si diffonde per la Chiesa.
Il doppio senso agli uomini non è sfuggito e questo altro non fa che moltiplicare l’ira di Pierina, che seguita dalle fide coriste si avvia in Sacrestia, incespicando nel parquet e rovesciando il candeliere.
«Maledisa – borbotta Pina – tutte le volte lo buttiamo per terra, uomini raccogliete se no domani Armida arriva col muso. Già che non fa fatica ad avere il muso… perché da quando non canta più nel Coro non ci può vedere».
Ma perché l’Armida non canta più nel Coro?
è una storia vecchia, di qualche anno fa. Era il periodo delle Comunioni e il Coro era pronto in pompa magna. Tutti vestiti uguali, in nero, con sciarpa celeste tranne Margherita, che di nero non aveva niente e continuava a mettere il marrone scuro, che “tanto è uguale”.
Avevano provato e riprovato; avevano anche una soprana vera – fresca di Conservatorio – addirittura per il Panis Angelicus di San Tommaso D’Aquino. Era tutto perfetto. Mirella voce solista e tutti gli altri a rimorchio.
Ma l’Armida no, la voce solista per Panis Angelicus doveva essere lei!
Senza scuola, senza arte né parte. C’era il Vescovo, l’occasione era ghiotta per Armida che voleva mettersi in mostra ed avevano faticato non poco a convincerla a fare il coro d’accompagnamento. E basta.
Pareva tranquilla, non dava da pensare. E così, quando sulle note di Cesar Franck , le era partito l’assolo gracchiante di “Oh Res Mirabilis” era stata portata via di peso e mai più riammessa tra le coriste. I coristi erano più malleabili, se la sarebbero ripresa. Ma Teresa, Pina e Pierina erano state implacabili.
Ciò non mancò di far balenare, nella testa dell’Armida, l’idea di qualche piccola ritorsione!
Ora le pie donne, implacabilmente, stanno spingendo l’organo fuori dalla Sacrestia. è un Hammond L 122 in noce, un vero cimelio, un vero pesantissimo cimelio.
Spingendo un po’ in diagonale e un po’ no, sono riuscite a varcare la porta della Sacrestia e con un ultimo sforzo si accingono a raggiungere la Chiesa.
Quando un rumore secco, di qualcosa che – irrimediabilmente – si stacca da qualcos’altro, le colpisce come una fucilata in fronte.
«Oh Signur! – esclama Pierina facendosi immediatamente il segno della croce – cosa è stato?»
Non si riesce a capire cos’è accaduto. L’organo è sempre entrato e uscito, spingendo un po’ di qua e un po’ di là e non hanno mai avuto grossi problemi. Stasera proprio non c’è verso.
«Uomini!! – tuona Teresa – venite a vedere, cosa è successo? Perché non riusciamo a prendere l’organo?»
Dall’ensemble dei bassi una risata, quasi un ghigno, sale e si diffonde per la Chiesa.
Eugenio impietosito varca la soglia della Sacrestia e non gli sfugge la voragine che si è creata nel muro. Le pie donne, tirando l’organo con tutte le loro forze, hanno divelto la presa.
«Ma come – si domanda Teresa – sarà sempre stato lungo uguale (il filo), o no?»
«No, borbotta Pierina – le altre volte era più lungo».
In tutto il trambusto l’unico a non aver messo becco è Paolino l’organista; non è neppure stato chiamato in causa benché sia quello che – di organo – sapeva più di tutti.
«E ma ne manca un pezzo, manca un pezzo di filo» sussurra timidamente Paolino.
E già!
Ci vuole la prolunga: la prolunga dell’Armida!