Con la provincia di Milano che si riscopre epicentro della seconda ondata, la situazione in Martesana torna a farsi critica. Lo sanno bene medici e infermieri dell’Ospedale Uboldo di Cernusco sul Naviglio, che – proprio come nei mesi di marzo e aprile – è tornato ad essere un punto nevralgico della lotta al Covid. Negli scorsi giorni, le telecamere del Tg3 sono entrate nei reparti di terapia intensiva – ormai saturi – dell’ospedale cernuschese, per raccontare da vicino il duro lavoro del personale sanitario.
«Il 10% dei ricoverati finisce in terapia intensiva»
Rispetto alla prima ondata, questa volta medici e infermieri dell’Ospedale Uboldo si sono fatti trovare pronti. La riorganizzazione delle strutture e l’ampliamento dei posti di terapia intensiva, però, non sono bastati. E così l’impatto della seconda ondata di contagi sta mettendo ancora una volta a dura prova la tenuta dell’Ospedale.
«Abbiamo tutta questa terapia intensiva occupata con sei pazienti e tutta la terapia intensiva cardiologica con altri cinque», ha spiegato alle telecamere del Tg3 Massimo Zambon, direttore del reparto Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Cernusco. «Oramai abbiamo solo pazienti critici con polmonite associata a Covid».
Ogni giorno, hanno raccontato gli infermieri, sono una ventina i pazienti che arrivano al pronto soccorso in attesa di ricovero. Non tutti però possono essere accolti, perchè «di posti letto – ha spiegato un’infermiera – non ce ne sono più».
«Il 10% dei ricoverati finisce in terapia intensiva – ha aggiunto Zambon -, mentre l’età media dei pazienti varia da un minimo di 39 anni fino a un massimo di 75».
Un punto di riferimento
Già durante la prima ondata, l’Ospedale Uboldo di Cernusco sul Naviglio era finito sulla cronaca nazionale in diverse occasioni. Nel mese di marzo le telecamere del Sole24Ore erano entrate nelle terapie intensive dell’ospedale per raccontare da vicino gli enormi sforzi a cui erano chiamati i medici e gli infermieri della struttura.
A qualche settimana di distanza, l’ospedale cernuschese aveva trovato spazio anche fra le pagine del The New York Times, che aveva lodato l’iniziativa di fornire ai pazienti un tablet con cui poter rimanere in contatto con parenti e amici.