A Punta Luna il mare restava piccolo estate dopo estate e i bambini si tuffavano sempre dallo stesso scoglio, quello liscio che pareva una passerella di moquette nell’alta marea. Almeno lì, i piedi nudi trovavano sollievo dopo le prove da fachiro sulla spianata di roccia porosa, tutta crateri e spuntoni.
Le mamme giovani ci stendevano sopra l’asciugamano perché sapevano ancora adattare la schiena alle gibbosità, seguendo il sole in cielo per acchiappare un vecchio sogno da copertina. Poi se ne andavano a cucinare, lasciando i figli a mollo con la bocca viola e le dita sbiancate come petali avvizziti.
Tonino si tuffava così bene che persino il Parrini smetteva di modulare le arie delle opere davanti alle onde e ai traghetti offuscati. Tutti i bagnanti di Punta Luna dovevano ammirare la sua melomania da loggione ma, se Tonino si tuffava, il Parrini si chetava per un po’, soprattutto quando il padre del ragazzo lo pungolava a saltare all’indietro per eseguire un tuffo di testa a rovescio.
Stai dritto. Unisci i piedi. No, non ora. Aspetta che passi l’onda!
E Tonino avrebbe preferito dar la caccia ai granchi favolli con l’esca infilata in una stecca d’ombrello o, nella vicina pineta, lasciarsi cullare da un violino ossessivo di cicale. Faceva pena Tonino. Strafottente, la bocca turgida di parolacce da sbandierare agli sbigottiti compagni di gioco, pareva un ghiozzo all’amo quando suo padre lo voleva uomo a suon di tuffi.
Lui, l’uomo, l’avrebbe fatto volentieri con Stefania. Le avrebbe toccato le minne come si diceva a Palermo – la città di suo padre – e l’avrebbe voluta come zita anche a dieci anni. A Stefania, però, interessava solo pescare i pesci con la correntina o spingersi a nuoto fino al vicino stabilimento balneare per arrivare dal mare senza pagare il biglietto d’ingresso. Aveva un anno più di Tonino e, forte come un maschio, s’immergeva senza maschera fino ai fondali più scuri per portare alla luce qualche pietra dalla forma strana. Una sembrava una bottiglia, un’altra un coniglio e le mostrava a Tonino che le diceva di sì per farle piacere.
Lui preferiva giocare alle lotte sul materassino, seduti a cavalcioni l’uno di fronte all’altra per provare a buttarsi in acqua. Vinceva quasi sempre Stefania e Tonino risaliva arrabbiato, pronto a ricominciare ma confuso da una ragazzina così forte con la seconda di reggipetto.
Intanto il Parrini cantava Deh, vieni alla finestra, da quel vecchio dongiovanni che era, ma la sua bella, sullo scoglio accanto, restava completamente indifferente. Aveva l’ardire di fare il cascamorto con lei, giovane donna del sud dai capelli dritti e setosi. Se l’infilava in un turbante bianco, per proteggerli dal sole, e si sdraiava come se fosse sorda.
I’ te vurria vasà, intonava allora il Parrini per dimostrarle che conosceva le canzoni della sua terra. I ragazzini, intanto, sghignazzavano: neanche la bella napoletana avrebbe mai mostrato le sue minne, proprio come Stefania.
Quando lei arrivava a Punta Luna con il lettino pieghevole e la borsa di paglia, le mamme sibilavano frasi da vipera e i pochi uomini sugli scogli, fissandola con occhi intorpiditi, abboccavano all’esca inconsapevole dei suoi gesti dosati da modella. Lei si spalmava l’olio abbronzante e poi apriva un libro per ficcarci dentro lo sguardo azzurro; la bocca, una conchiglia serrata, si ancorava al silenzio delle pagine.
Solo Stefania voleva accanto a sé. Le sorrideva mentre la ragazzina prendeva la rincorsa dallo scoglio liscio per saltare nel mare. Poi, tutta grondante, mollava lì il povero Tonino nel bel mezzo di una gara di tuffi e, incespicando come un cucciolo sulle rocce appuntite, andava a sedersi vicino alla napoletana col turbante.
«Non importa se sei bagnata, mettiti qui», la invitava picchiettando un angolo dell’asciugamano. «Anzi, così mi rinfreschi».
Stefania spiava l’attaccatura nera dei capelli sotto al turbante. Ecco, se lo toglieva solo per lei. I capelli nel sole si offrivano a una sua rapida carezza. Sartre, le stava parlando di Sartre perché doveva scrivere la tesi. Si sarebbe laureata presto. Era giovane e voleva insegnare. La voce usciva in uno sciacquio di sirena da una conchiglia aperta e bisognava ascoltarla, arrovellarsi per cercare di capire quel Sartre senza pensare ai capelli sotto al turbante che la napoletana non si toglieva.
«Che ci vai a fare da quella?» Tonino si stizziva perché Stefania andava sempre a mettersi sull’asciugamano dalla bottana, invece di stare con lui che la voleva ogni momento con sé perché doveva diventare la sua zita a tutti i costi. A Punta Luna dicevano che la napoletana batteva in casa sua. Ci sarebbe andato lui, Tonino, a spiarla dal buco della serratura. Bell’amica che aveva Stefania: una bottana.
Stefania, allora, allungava pugni sott’acqua alle braccia mingherline di Tonino, in mezzo al mare, quando nessuno poteva vederla. Lui era buono solo a dire parolacce. Anche i loro giochi cominciavano ad annoiarla.
«Mi picchi perché sei gelosa» rideva Tonino. «Guarda che se mi fai vedere le minne tu, non ci vado a spiare la bottana!»
Ma Stefania tornava da lei sull’asciugamano, lei che era colta e raffinata, talmente al di là degli scogli sempre uguali di Punta Luna, dove il mare e le persone restavano piccoli, estate dopo estate.
Adesso, a tornare lì, c’è solo qualche sparuto pescatore. Nessuno rincorre un sogno patinato, amando o desiderando chi non concede nulla. Stefania e Tonino sono cresciuti e, finita la stagione dei giochi, non si sono più frequentati. Lui si è trasferito a Palermo, la città di suo padre che l’avrebbe voluto un campione di tuffi. Invece, dopo qualche anno di galera per istigazione alla prostituzione, ha aperto un’officina piena di calendari di donne nude. Il Parrini, che già era vecchio, ha voluto che gli mettessero il Don Giovanni al funerale.
La donna col turbante, invece, si è sposata. Ha amato ed è stata riamata. Poi, però, sono finiti tutti e due con l’auto rovesciata in un torrente. Ne hanno parlato tutti i giornali.
Le mamme giovani non stendono più gli asciugamani sugli scogli di Punta Luna. Preferiscono le comodità del vicino stabilimento balneare dove i loro ragazzini siedono per ore ai tavoli del bar con in mano il cellulare e il brick del tè.
Solo Stefania frequenta ancora Punta Luna. Porta con sé l’asciugamano, le chiavi dello scooter e un libro di filosofia che insegna all’università. Non ha mai smesso di piacerle. Qualche volta, se non ha più voglia di leggere, va a tuffarsi. Indossa delle scarpette di gomma per proteggersi i piedi ma s’immerge ancora nei fondali come quando era ragazzina. Le pietre dalla forma strana le lascia laggiù, in mezzo ai pesci che non pescherà. Poi risale e siede sulla passerella di moquette dello scoglio liscio. In un baluginio di traghetti offuscati intravede il profilo raffinato di una donna. Forse è un’isola o forse è proprio una donna che le racconta qualcosa. Si è appena tolta il turbante e i capelli vivi fluttuano verso le mani di Stefania mentre la risacca intona una canzone che nessuno ricorda più. Le ore non si dilatano fra le onde senza giochi. E’ tempo di asciugarsi e ritornare a casa. Lo scooter aspetta in pineta, in mezzo alle cicale.