È stato un pomeriggio di forti emozioni forti quello di sabato 9 novembre, quando, presso la biblioteca comunale di Pioltello, è stata inaugurata Com’eri vestita, la mostra allestita dal Comune con i ragazzi delle classi della 2B Professionale Socio sanitario del Machiavelli, su progetto dell’associazione Libere Sinergie e dell’Università del Kansas.
COM’ERI VESTITA: L’ARTE CONTRO IL PREGIUDIZIO
La mostra, attraverso il racconto di storie realmente accadute a cui sono affiancati gli abiti delle vittime, si pone l’obiettivo di raccontare quanto sia inconsistente il pregiudizio che attribuisce alle donne la responsabilità delle violenze sulla base degli abiti indossati.
Molti i rappresentanti dell’amministrazione presenti insieme a quelli del Centro Antiviolenza Viola, partner dell’iniziativa. Con loro, inoltre, i ragazzi del Machiavelli con gli insegnanti, la dirigente e moltissimi cittadini.
LA PRESENTAZIONE E LE TESTIMONIANZE
«Troppo spesso quando si parla di violenza nei confronti delle donne c’è l’idea che la vittima se la sia “un po’ cercata”, magari ha avuto un gesto, un comportamento o un vestito che in qualche modo hanno giustificato la violenza – ha commentato il sindaco Ivonne Cosciotti, che ha introdotto la mostra -. Noi sappiamo che non è così. La mostra che inauguriamo oggi lo dimostra inequivocabilmente. La violenza sta nelle teste delle persone. Ed è qui che dobbiamo operare, perché contro la violenza l’unica risposta è il rispetto dell’altro e il confronto. Colgo l’occasione di ringraziare tutti coloro che hanno lavorato a questa mostra e in particolare gli studenti del Machiavelli, perché, vedete, voi siete il futuro. Il fatto che abbiate fatto lavori così belli e importanti mi fa stare tranquilla e certa che la nostra città è e sarà in buone mani».
L’assessore alla Cultura e Pari opportunità Jessica D’Adamo ha letto la testimonianza della donna da cui è nata l’idea della mostra, commuovendo tutti: «”Ciò che indossavo era questo: sopra una maglietta girocollo bianca di cotone a maniche corte, infilata dentro una gonna di jeans, anche questa di cotone, che arrivava appena sopra il ginocchio, e avevo una cintura in vita. Sotto un reggiseno bianco di cotone e delle mutandine bianche. Ricordo perfino che non erano neppure coordinate. Ai piedi scarpe da tennis bianche. Proprio il tipo con cui si gioca a tennis. E infine orecchini d’argento. Avevo messo il lucidalabbra. Questo era quello che indossavo quel giorno, quella notte, il 4 luglio 1987. Magari vi starete chiedendo perché ciò sia importante o come faccia io a ricordare ogni singolo dettaglio. Cercate di capire: mi hanno fatto questa domanda un sacco di volte, mi hanno costretto a ricordare un sacco di volte. Questa domanda, questa risposta, questi dettagli. Ma dalla mia risposta a questa domanda tanto attesa, tanto anticipata sembra dipendere tutto. Non contano gli altri dettagli di quella notte, durante la quale, a un certo punto, sono stata violentata. Mi chiedo quali risposte e quali dettagli darebbero conforto o potrebbero dare conforto a voi, miei inquisitori, che cercate conforto dove, ahimè, non si può trovare. Se solo fosse così semplice. Se solo noi potessimo farla finita con gli stupri, semplicemente cambiando i vestiti. C’è dell’altro. Ricordo anche cosa indossava lui quella notte, sebbene nessuno me l’abbia mai chiesto».
LA PRESENZA DEL CENTRO ANTIVIOLENZA V.I.O.L.A.
Alla presentazione della mostra sono intervenute anche Lorena Trabattoni e Chiara Sainaghi del Centro Antiviolenza Viola, acronimo di Valorizzare le Interazioni per Operare Laboratori Antiviolenza, che da anni sul territorio dell’Adda Martesana agisce per promuovere azioni condivise di contrasto ed emersione del fenomeno della violenza domestica nei confronti delle donne.
«Non esiste una ricetta unica per contrastare la violenza sulle donne – ha spiegato Lorena Trabattoni – occorre operare come una squadra, partendo proprio dai ragazzi, è quella di oggi è un’occasione importantissima, per promuovere una cultura del rispetto di genere. Anche quando si è di fronte a un dubbio, prima di arrivare a episodi di violenza, una donna o una ragazza che sta vivendo una relazione di possesso può rivolgersi agli sportelli di ascolto che esistono a Pioltello e sul territorio dell’Adda Martesana».
L’IMPEGNO DEI RAGAZZI DEL MACHIAVELLI
Anche ai ragazzi è stato concesso il meritato spazio, in modo che potessero raccontare il percorso di realizzazione della mostra e il significato che essa ha assunto per loro.
La loro dirigente scolastica, Michelina Matera, ha poi dichiarato: «La nostra scuola ha raccolto la sfida lanciata dal Comune. I ragazzi sono stati preparati in aula su un tema come questo, estremamente delicato e attuale, hanno cercato gli indumenti dei casi poi esposti nella mostra, verificando con l’esperienza come violenza e femminicidio non abbiano a che fare con quello che le vittime indossano. In più si sono fatti fotografare con i vestiti raccolti, rappresentando essi stessi le situazioni e vivendole in modo ancora più empatico».
LA VIOLENZA “ADDOSSO”
L’edizione pioltellese dell’esposizione vanta una caratteristica particolare rispetto le altre località in cui è stata in questi anni: accanto alle storie e ai vestiti sono state affisse delle bellissime foto, scattate da Massimo Giuffrida, in cui i ragazzi hanno indossato gli abiti delle vittime e “messo in scena” le diverse di situazioni in cui si è svolta la violenza.
I pannelli sono inoltre dotati di codice Qr attraverso il quale è possibile ascoltare le voci delle vittime che raccontano la loro esperienza, voci e storie che sono visibili anche su un monitor posto in sala. È stata anche allestita una zona dedicata a Lea Garofalo, anch’essa donna vittima di violenza.
La mostra, visitabile fino al 26 novembre, è a ingresso libero.