Ecco il terzo racconto della nostra rubrica a opera del corso di scrittura creativa di Artèofficina. L’autrice è Erica, che, con un racconto romantico e fiabesco ispirato alle acque del naviglio martesana, ci ha già conquistati.
Votate con un like su Facebook il vostro racconto preferito: al termine della rubrica, il vincitore otterrà un’intervista esclusiva con noi!
IL BACIO DEL FIUME
Lungo la Martesana viveva una volta un uomo. Non era né giovane né vecchio, oppure era entrambi: nessuno riusciva a stabilirne l’età. Tutti sapevano soltanto una cosa: che dacché ne avevano memoria, egli aveva sempre vissuto nel medesimo posto, in una casetta costruita sulla riva del naviglio che scorreva verde e lento nella pianura, collegando la città alla fertile pianura. Non era mai stato in città, perché non ne aveva bisogno: amava il verde frusciare dei rami che toccavano l’acqua, il placido scorrere delle acque, l’atmosfera rarefatta e sospesa delle sere estive quando tutto tace e s’infiammano i profumi dei canneti. Erano quelli i tempi in cui la città non aveva ancora fagocitato la campagna: umidi reticoli di sentieri intrecciavano i campi, e i canali erano ricchi di vita, di pesci, di mondi sommersi.
L’uomo era un pescatore e viveva dei frutti di quelle acque. Ne conosceva ogni meandro e ogni roggia, e non era strano scorgerlo mentre osservava rapito lo scorrere bronzeo della corrente sotto casa. Egli amava il naviglio, la sua potenza sopita e soprattutto la sua voce: era l’unico che riuscisse a sentirla. Gli altri pescatori lo prendevano per pazzo, eppure ogni sera, quando rientrava con la sua barchetta, lui udiva melodie di inaudita bellezza fondersi con lo sciabordio dell’acqua sui fianchi dell’imbarcazione: allora tendeva l’orecchio, aguzzava lo sguardo, ma non riusciva a vedere nulla. «E’ un po’ strano – commentavano gli abitanti del villaggio – e si immagina le voci». Chissà, forse era strano davvero, eppure lui lo sentiva davvero quel canto: talvolta più vicino, talvolta più lieve, ma c’era sempre. Pareva che qualcuno lo chiamasse.
Una sera, dopo essere rientrato dal lavoro, il pescatore decise di fare due passi lungo la riva: la voce dell’acqua gli parlava con particolare intensità ed egli desiderava ascoltarla in silenzio. Andò a finire che, tra un pensiero e l’altro, si sdraiò ad osservare la corrente e vinto dal dolce canto del fiume si assopì. Da quanto stava dormendo non lo sapeva, ma all’improvviso qualcosa lo svegliò: un tocco delicato che gli accarezzava gli occhi, le guance, il mento e si fermava poi sulle labbra, vibrante come ali di libellula. Quando aprì gli occhi, quale non fu la sua sorpresa nel vedere dinnanzi a sé il viso di una ragazza che usciva dall’acqua! Ma si poteva davvero definirla ragazza? Gli occhi e la pelle avevano il colore del bronzo fuso e verdi erano i suoi capelli, che ondeggiavano in lunghe volute nella corrente, avvolgendole il corpo. Eppure era così bella, ma così bella, che il pescatore non riusciva a smettere di guardarla. «Di solito gli umani non ascoltano le parole del fiume, – gli disse la ragazza con voce che sembrava liquida –ma tu hai sentito che ti chiamavo». Gli tese una mano e lui la strinse, rapito dal suo respiro che sapeva di acqua. «Ti ho chiamato perché mi sono innamorata di te, perché sei il primo umano che rispetta il fiume. – gli spiegò la ragazza – Vieni a vivere con me nel mio mondo». «Ma non posso vivere nel mondo del fiume,- rispose il pescatore, rattristato – perché morirei». «Non morirai, perché ho chiesto all’acqua di accettarti tra di noi. Ma non dovrai mai più per nessun motivo tornare sulla terraferma, altrimenti saremo separati per sempre. Lo puoi fare?». L’uomo non esitò nemmeno un attimo: finalmente aveva capito come mai egli era l’unico a udire quel canto e si era reso conto che il suo posto poteva essere soltanto con la ragazza dagli occhi verdi che per tutto quel tempo l’aveva chiamato a sé.
Si tuffò con lei e il fiume, anziché inghiottirlo e trascinarlo a fondo, si aprì al suo passaggio: egli poteva ora respirare sott’acqua e quei mondi ondeggianti di alghe e riflessi, che prima aveva soltanto osservato dallo specchio dell’acqua, divennero anche i suoi. Le giornate si allungarono in liete nuotate a fianco dell’amata e del suo popolo, le creature acquatiche che si nascondevano nelle profondità del naviglio, che la notte si rincorrevano tra i canneti e si lasciavano trascinare dai cigni silenziosi, osservando le stelle quando gli umani non potevano vederle.
Passavano i giorni e la felicità del pescatore non conosceva limiti. Si abituò alle diverse usanze e imparò il linguaggio del popolo del fiume, ma soprattutto divideva con la ragazza ogni attimo della nuova vita. Amava la ragazza e il suo mondo acquatico: la terraferma gli pareva lontana come un sogno, né gli mancava.
La serenità di quei giorni era turbata soltanto dalla sorella di lei: una creatura rancorosa che non aveva mai potuto sopportare la felicità della sorellina, da sempre più amata e benvoluta di lei. A dire il vero, ben pochi del popolo del fiume volevano avere a che fare con lei: da esseri placidi e pacifici quali erano, erano turbati dalla sua negatività e preferivano starne alla larga. Lei restava quindi sempre nascosta in un’ansa scura del fiume a meditare pensieri rabbiosi: non era infatti bella né aggraziata, e soprattutto non aveva mai trovato nessuno che la amasse come quel pescatore – quello straniero! – amava la sorellina. Questo in particolare la faceva soffrire e più soffriva, più diventava gelosa delle fortune dell’altra. «Dovrebbe provare un po’ anche lei cosa significa essere soli!», borbottava tra sé e sé quando vedeva i due amanti passare accanto al suo nascondiglio, felicemente ignari del suo rancore.
Capitò però un giorno che la sorella udì alcuni uomini parlare dalla riva: erano molto tristi perché la Martesana si era inghiottita uno dei loro più cari amici. «Quanto vorrei ritrovarlo, o sapere almeno che gli è successo!», diceva uno di loro e un altro aggiungeva: «probabilmente a furia di sentire la voce del fiume vi è caduto dentro e tanti saluti, non lo troveremo più». Lei non ci mise molto a intuire di chi stessero parlando e capì che aveva finalmente l’occasione di mettere in atto la vendetta tanto meditata. Allora si avvicinò e con voce suadente iniziò a parlare agli uomini. «Se cercate il vostro amico, il pescatore, sappiate che se l’è preso il fiume». Gli uomini balzarono in piedi, spaventati: non capivano da dove venisse quella voce, perché la sorella se ne stava ben nascosta sotto del pelo dell’acqua. «Aspettate il tramonto nella roggia più a valle. Allora, non appena il sole sarà calato, gettate una rete: riuscirete a trovare il vostro amico e a strapparlo all’incantesimo del fiume». Sapeva infatti che ogni sera i due innamorati nuotavano in quel tratto, appartato e romantico. I pescatori, sebbene inquietati da quella voce strana, non esitarono a fare come essa aveva loro suggerito e corsero nel punto indicato, attendendo l’ora propizia e pregando di riuscire a salvare il loro amico. Nel momento in cui gli ultimi raggi del sole morente accarezzarono l’acqua e la accesero di riflessi bronzei, gli uomini gettarono quindi la rete e subito sentirono che qualcosa di grosso e pesante la strattonava: iniziarono allora a tirare, tirare, tirare con tutte le loro forze. «Coraggio, ci siamo quasi, resisti!», gridavano.
Né il pescatore né la ragazza si aspettavano nulla del genere: la rete si era frapposta tra loro all’improvviso, prima che potessero rendersene conto. La ragazza si aggrappò alle maglie con tutta la forza di cui era capace e il pescatore tentò di strapparle con le dita, ma era tutto inutile: la rete stava trascinando l’uomo fuori dall’acqua, li stava dividendo per sempre! Molte strade furono tentate in quei secondi per liberare il pescatore, ma tutte risultarono vane: gli uomini a riva erano troppo forti, con troppa disperazione tiravano la rete pensando di salvare il loro amico e né le braccia sottili della ragazza né la tenacia del pescatore poterono nulla contro di essa. Infine, con uno strattone, l’uomo fu a riva. Il tempo di rendersene conto – e di capire cosa i suoi ignari amici gli avevano fatto! – e subito si rigettò nel canale, invocandone la pietà e chiedendogli di essere restituito alla sua amata. Ma il fiume fu sordo alla sua angoscia e non rispose alla sua preghiera: anziché aprirsi a lui, l’acqua lo sommerse e rischiò di farlo annegare. Provò ancora, e ancora, e ancora. Anche nei giorni seguenti non smise di tentare, spinto dalla disperazione, ma tutto fu inutile. Non sarebbe mai più potuto tornare dal popolo acquatico e dalla sua amata.
E se la sorella, consumata dal suo stesso rancore, sparì poco dopo quegli avvenimenti senza che nessuno ebbe voglia di cercarla, longeva fu invece ancora la vita del pescatore. Ma, da quel giorno, egli visse solo. Non volle più vedere i suoi amici né riuscì a perdonare loro ciò che gli avevano fatto, e neanche cedette alle lusinghe di chi l’avrebbe voluto sposare ad una ragazza del villaggio. Si ritirò nella sua casetta e tornò alle vecchie occupazioni, ma non c’era più alcuna luce nei suoi occhi, né piacere nell’ascoltare il fiume. Tutto gli ricordava la vita e l’amore perduti. Soltanto quando si avvicinava il tramonto pareva che una fiammella di desiderio accendesse il suo viso: raggiungeva la riva del naviglio, proprio nel punto in cui era stato strappato alla sua amata, e si inginocchiava sull’erba morbida. Se ne stava lì così, le dita che accarezzavano l’acqua, fino a quando il sole non si adagiava sulla linea dell’orizzonte ed allungava i suoi ultimi raggi sulla corrente: allora si chinava sull’acqua verde fino a sfiorarla con le labbra in un bacio leggero. Non servivano parole. Bastavano un luccichio, un tremolio delle onde bronzee a rivelargli che lei era stata lì, che da sotto il pelo dell’acqua aveva per un attimo risposto al suo bacio e che per quel momento fugace si erano ritrovati. Poi il pescatore si alzava: un sorriso triste balenava sul suo viso ed egli tornava alle sue occupazioni, aspettando il tramonto successivo.
Infine, quando la vecchiaia gli striò d’argento la barba e i capelli, egli sparì. Nessuno seppe cosa gli era successo né lo ritrovarono mai. Eppure qualcuno, anni dopo, disse una sera di aver visto un uomo anziano nuotare tra i riflessi del fiume, la mano intrecciata a quella di una sottile creatura verde. Non ci fu mai alcuna conferma di queste voci, ma chi le udì ebbe in cuor suo la certezza che il naviglio, commosso dalla muta preghiera dell’uomo, avesse infine scelto di perdonarlo e di concedergli di trascorrere gli ultimi suoi giorni a fianco dell’amata.