È una storia che parla di amore e inclusione, di amicizia, coraggio e grande forza d’animo: è quella di Davide e di Michelangelo – due nomi consacrati dall’arte nel passato e uniti dallo sport nel presente.
Arriva dalle pagine dell’importante testata nazionale Il Sole24 Ore la storia di una coppia che, a Cernusco, ha insegnato a tutti cosa significhi poter contare sull’altro.
LA STORIA
Correva la stagione sportiva CSI 2014/2015, e Michelangelo Zanol era allenatore dell’ASO Cernusco sul Naviglio 2001 Bianco, quando Davide è entrato a far parte della squadra.
Tra i due è nato da subito un forte legame, e Michelangelo non ha potuto fare a meno di insistere perché Davide ottenesse un ruolo attivo all’interno della squadra: era affetto dalla sindrome di down, e l’allenatore – già ben conscio delle sue potenzialità – non voleva assolutamente che la sua condizione lo potesse ostacolare. Il campionato ha preso il via e Davide ha giocato insieme ai suoi compagni, che inizialmente hanno temuto per le sorti della partita, come se, durante i suoi momenti in campo, fossero scoperti di un compagno. Ma Michelangelo non ha mai mollato, e ha continuato a sostenere la presenza di Davide in campo, finché la fortuna non li ha presi di mira e il ragazzo ha iniziato a fare le veci di un portafortuna: quando lui era in campo, la squadra non subiva goal.
I compagni hanno così iniziato a vedere in lui qualcosa in più di un ostacolo alla buona riuscita del punteggio, ma quando le cose hanno cominciato ad andare bene, Davide si è ammalato. La sua assenza per più di mese si è fatta sentire sui compagni impegnati nel campionato primaverile, che hanno dovuto imparare a cavarsela di nuovo senza di lui: pur non potendo ancora tornare in campo, però, il loro portafortuna li incitava dalle tribune, come il loro più grande tifoso.
Quando ha potuto riprendere ad allenarsi, le sue prestazioni non erano quelle dei mesi precedenti: era stanco, faticava molto a stare al passo, ma Michelangelo ha deciso di convocarlo comunque per la finale: “Eravamo arrivati fin lì tutti insieme – ha spiegato – e saremmo andati tutti insieme alla finale. Sapevo che poi avrei creato qualche malumore o dissenso: in quattro non sarebbero potuti entrare in campo seppur in panchina, proprio per regolamento. Di lavoro faccio il consigliere scolastico, sono abituato a rogne varie”.
Come programmato, Davide è sceso in campo: ha giocato titolare per sette minuti, poi – stanco – è tornato in panchina, accolto da uno scroscio di applausi e da cori da stadio; ha scambiato un cinque con l’allenatore della squadra avversaria e ha ricevuto un grande abbraccio dal suo, che ormai era molto più che un mister. “Quel momento – ricorda Michelangelo – è stato ancora più emozionante del goal che abbiamo segnato“.
Secondo l’allenatore, la presenza di Davide è stata così di stimolo alla squadra da permetterle di vincere la finale: senza di lui, non ce l’avrebbero fatta. “Hanno giocato al di sopra delle loro forze per sostenere l’amico“. Il momento più emozionante è però arrivato a conclusione dei giochi: durante la premiazione, il capitano ha sollevato la coppa insieme a Davide, e niente poteva essere più importante per Michelangelo. Il suo tentativo di insegnare ai ragazzi che oltre le differenze c’è un mondo di somiglianze da abbracciare era riuscito, e i giocatori avevano un amico in più.
È passato qualche anno da quel giorno, ma Davide e il suo allenatore si vedono ancora per mangiare una pizza insieme e ricordare l’emozione di quella stagione giocata insieme. Il sogno di un’amicizia che sfoci ancora sul campo, però, non è svanito, ma cresciuto di livello: “Quando tornerò ad allenare un gruppo di ragazzi – ha raccontato Michelangelo – averlo accanto come team manager sarebbe fantastico“.