Due prigioni

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“Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!” Ripeteva il ragazzo con ossessione.

All’interno del Centro Psico Sociale nessuno dava più retta a questa frase. Nel luogo della anormalità generale la sua mania compulsiva di nutrirsi risultava ordinaria. Pure i centoquaranta chili di Oscar ormai passavano inosservati. Il suo autismo, accompagnato da una rara forma di disordine alimentare, faceva sì che chiunque gli capitasse a tiro diveniva vittima dei suoi “Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!”

Fra un tormentone e l’altro se ne stava fisso, in silenzio, ad osservare la parete. Quando i volontari del turno diurno dovevano recuperare i pasti del mezzogiorno, lo portavano con loro per avere compagnia ed era abitudine effettuare una piccola sosta per comprargli una brioche. Nell’immancabile marsupio Oscar conservava la confezione di queste merendine a ricordo delle uscite.

Peppe era in dirittura d’arrivo. Fra sette giorni avrebbe scontato la sua pena. In carcere aveva rigato dritto. Aveva persino imparato un mestiere. Era diventato un buon serramentista ed il Maresciallo Capo non aveva scritto una sola nota negativa nei suoi confronti. La condotta era stata ineccepibile, tanto da guadagnarsi qualche permesso premio. Nell’ultima licenza però si era dimenticato di passare in biglietteria a Porta Genova e così avrebbe perso il concerto.

Dopo dodici mesi di galera, voleva festeggiare la sua uscita, andando all’unica tappa milanese del “Liberi Liberi Tour” con la sua ragazza, ma non era passato a recuperare i tagliandi. Pagati in anticipo, ma non ritirati, beffa delle beffe per un ladro.

Un anno a San Vittore e uno si perde l’unica tappa milanese di Vasco Rossi per una banale dimenticanza. Questo rimuginava con rabbia, mentre caricava gli infissi in alluminio, realizzati nel laboratorio interno, con questo tarlo che gli rodeva dentro. Sistemò il materiale nel veicolo dell’artigiano e chiuse lo sportello del furgone.

Ebbe una specie di folgorazione con una vocina dolce che lo tentava ed era la stessa che nella sua vita spesso e volentieri lo aveva cacciato nei guai. La vocina aveva un potere magnetico, suadente. Osservò in giro, riaprì lo sportello e si infilò. Nessuno lo vide. Avrebbe raccontato di essersi addormentato sugli stracci che ammortizzavano gli infissi, poi, lungo il tragitto, si sarebbe dileguato. Recuperati i biglietti, li avrebbe infilati nella cassetta della posta della sua ragazza e si sarebbe ripresentato in carcere.

Il Gianni “Burigia” aveva la sua età ed il soprannome “Burigia”, affibbiatogli scherzosamente dagli altri volontari, serviva a distinguerlo dal Gianni “Cadrega”, che non era noto per essere uno sveltone.

Il “Burigia” prestava servizio al C.P.S. perché ne aveva piene le scatole di sorbirsi la moglie tutto il giorno. Gli piacevano i ragazzi speciali, perché a differenza della sua Iole erano vivaci, imprevedibili. Si recava al Centro, prendeva il Pandino coi vetri oscurati, faceva le commissioni nei vari uffici ed andava a prendere i pasti. Aveva confidenza con Oscar e lo portava sempre con sé, perchè quel ragazzotto era tanto grosso quanto innocuo. Sapeva gestire i suoi “Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!” davanti ai supermercati o ai panifici. Per consumata abitudine in viale Papiniano davanti al fornaio, scattava la famosa frase, quindi il pensionato metteva le quattro frecce, lasciava solo in auto Oscar in sosta a motore acceso per qualche minuto e gli comprava due pizzette.

Peppe era uscito da San Vittore senza il minimo controllo. Se ne stava rannicchiato sul furgone e cercava di focalizzare le strade. Mormorava dentro di sè: “Viale Papiniano, a destra per Lorenteggio, sinistra per via Bergognone, supermercato, rotonda ed a sinistra per Porta Genova. Poi piglio la 2 e ritorno a San Vittore.” Al semaforo rosso di viale Papiniano sgattaiolò silenziosamente dal furgone e vide un Pandino bianco con quattro frecce a motore acceso. Occasione ghiotta. Avrebbe preso in prestito l’auto per ridurre i tempi, abbandonandola vicino ai Navigli.

Balzò sulla macchina, tolse il freno a mano e all’inserimento della marcia si accorse di una presenza ingombrante, spalla contro spalla. Peppe guardò Oscar, mentre questi neppure lo calcolò, fissando dritto il parabrezza. Peppe senza scomporsi si presentò: “Mi chiamo Peppe. Ho fretta. Fra dieci minuti siamo arrivati.” Oscar non fece una piega e Peppe si avviò.

Il Gianni “Burigia”, che era in coda nel negozio, non si accorse di nulla.

Peppe ripassava la strada ad alta voce: “A destra per Lorenteggio, sinistra per via Bergognone, supermercato…” La parola “supermercato” illuminò Oscar, che gli urlò nell’orecchio destro: “Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!”

Colto di sorpresa, Peppe si spaventò tremendamente e zizzagò in Lorenteggio, evitando d’un soffio un frontale con un portalettere in motorino: “Sei impazzito! Mamma, che spavento! Mi hai terrorizzato. Ho solo detto supermercato.”

“Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!”  Ripartì in quarta il ragazzo.

“Non ho soldi. Non ti posso comprare nulla.” Rispose il ladro.

La biglietteria era vicina, però l’unica soluzione era accontentarlo. Non aveva scelta. Questo aveva fame, era un soggetto strano e non era il caso di innervosirlo. Parcheggiò davanti al supermercato ed entrò con Oscar. Peppe rubò un sacchetto di patatine, che nascose sotto il maglione. Con indifferenza i due superarono l’uscita senza acquisti, ma l’addetto alla sorveglianza bloccò Peppe: “Cos’hai lì sotto?”

Oscar gridò al commesso a muso duro: “Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!”

Il tizio, terrorizzato, fece due passi indietro e cadde goffamente, così i due raggiunsero l’uscita.

“Evasione…Furto d’auto…Per altro, un rottame! Furto di un sacchetto di patatine in un supermercato con l’attenuante della grave indigenza…” Piagnucolava Peppe, cercando di consolarsi, mentre guidava. “Mi becco fra i sei e gli otto mesi con la recidiva. Ormai stiamo ballando e balliamo, andiamo a prenderli questi stramaledetti biglietti!”

Entrò in biglietteria, osservò i tagliandi e con un sospiro li mise in tasca. Si diresse a casa della sua ragazza e si trovò la Volante della Pula che stazionava. Dopo tutto quel casino, lo stavano già cercando. Seduto in auto, fissò il caseggiato con rassegnazione. Addio libertà.

Vide arrivare un ragazzo che portava due pesanti borse della spesa. Poggiò a terra le sporte e citofonò a qualcuno del palazzo. A sorpresa scese la sua ragazza, aprì il cancelletto ed i due si baciarono con trasporto. Addio amore.

Che giornata. Peppe sprofondò rassegnato nel sedile del Pandino. Cornuto e mazziato.

Lui ed Oscar avevano la medesima espressione stralunata, rivolta verso il parabrezza e persa nel vuoto.

Un “Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!” ruppe il silenzio dopo qualche minuto. Peppe si destò dal suo stato vegetativo e lanciò la sfida finale: “Va be’…Chiudiamo in bellezza anche perché per i prossimi otto mesi sarò ospite fisso del ristorante di San Vittore.”

Sfilò i biglietti dal portafoglio e li mise nel marsupio di Oscar, dandogli un buffetto sulla guancia: “A me non servono più, tanto fuori non mi aspetta nessuno.”

Con Oscar entrò in un ristorante. Mangiarono ogni ben di Dio e alla presentazione del conto, Peppe chiese di chiamare i Carabinieri e si costituì. I militari prelevarono entrambi e li tradussero in carcere.

Il Maresciallo Capo lo attendeva furente in portineria con le mani sui fianchi. Peppe non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo. Un brigadiere li condusse di gran carriera nell’ufficio del direttore del carcere, il Dottor Capurso, che, giocando con la matita fra le dita, debuttò: “Non hai nulla da dire?”

“E’ una lunga storia.” Rispose Peppe, rassegnato a capo chino.

“Peppe, cortesemente evita di dirmi che sei innocente! “

“No, Dottore, evito di annoiarla perché è una lunga storia.”

“E lui chi è?”

“Probabilmente Oscar.” Alzò le spalle.

“Come probabilmente Oscar?!? Sequestri una persona e non sai il nome?”

“Aspetti, Direttore, io non ho sequestrato nessuno. Stavo caricando il furgone del laboratorio e mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato ero in Viale Papiniano. Mi sono avvicinato a questo ragazzo che era in macchina, ma lui cercava un supermercato.”

Peppe ripetè e scandì la parola lentamente a Oscar: “Su-per-mer-ca-to.”

“Oscar. Mangiare! Mangiare! Mangiare!” Si rivitalizzò il ragazzo.

Il Direttore squadrò torvo Peppe, che proseguì nel racconto: “La macchina era accesa, ma lui aveva fame, quindi l’ho accompagnato nel vicino supermercato, ma non avevo soldi, perché sono uscito dal carcere senza portafoglio.”

“Quindi?” Lo incalzò Capurso.

“Quindi ci ha fermato un addetto, ma si è spaventato…”

“Questo torna.” Confermò il brigadiere, che stava in piedi dietro ai due. “Il commesso del supermercato ha visto l’energumeno che urlava e si è preso paura.”

“Continua.” Il Dottor Capurso sollecitò Peppe con toni spicci.

“Sono risalito sul Pandino per tornare in carcere, ma lui aveva fame, siamo andati in un ristorante e poi mi sono costituito.”

Fatto salvo qualche omissis, la sintesi dell’accaduto era questa.

Il problema era Oscar. Da dove veniva Oscar?

Il Direttore allontanò i due indagati dall’ufficio e restò solo a confabulare col brigadiere, il quale fece un paio di telefonate. Risultava che in tarda mattinata un rubicondo pensionato, Gianni “Burigia” al secolo Giovanni Vimercati, al Commissariato di Via Lorenteggio aveva denunciato il furto di una Fiat Panda e la scomparsa di un ragazzo disabile di grossa corporatura, affetto da grave forma di autismo. Qua e là il racconto di Peppe faceva acqua, ma reggeva. Non si capiva perché Peppe non era scappato col Pandino, abbandonando Oscar, e perché si era costituito. I reati, posto che lo fossero, Peppe non li aveva commessi per sé e lo stato di Oscar era evidente.

Conclusero di evitare una figuraccia col magistrato di sorveglianza, perché era un’evasione senza evaso ed addirittura, in mezzo a tanta gente onesta, l’unico a preoccuparsi di sfamare un ragazzo disabile era stato un pregiudicato.

Le giustificazioni furono accettate e Peppe sarebbe quindi tornato libero nei tempi previsti. La settimana successiva si presentò al C.P.S., chiese il Pandino in prestito e coi due biglietti nel marsupio di Oscar andarono insieme a gustarsi “Liberi! Liberi!