Il 22 marzo 2016, il Comune di Vimodrone ha approvato il regolamento che disciplina l’operato dei servizi comunali in campo sociale. Alla voce “contribuiti economici” compare l’articolo 21 sull’intervento del comune in termini monetari, nei casi di cittadini inseriti in strutture residenziali che non siano in grado di far fronte alla copertura della retta.
Partendo dal presupposto che una normativa nazionale impone agli Enti locali di farsi carico di minori, disabili gravi e ultra 75enni soprattutto nel caso questi siano ricoverati in strutture residenziali, va detto anche che la legge impone questo intervento comunale laddove l’assistito sia nullatenente. Il Comune di Vimodrone ogni anno si è sempre preso in carico i suoi residenti rispondenti a questi criteri, e continua a farlo se riscontra assenza di patrimonio, casistica mai rilevata sino allo scorso anno.
Qualcosa è cambiato da quando è stato introdotto nel 2015 il nuovo ISEE a livello nazionale. Con le modalità di dichiarazione passata, l’ ISEE sulla parte patrimoniale era puramente dichiarativa e avveniva attraverso autocertificazione, che nel caso degli assistiti era emessa dall’amministratore di sostegno. Ora invece la rilevazione del patrimonio si basa su un sistema di dati incrociati attraverso banche dati di istituti di credito, agenzia entrate e così via.
“Da queste nuove rilevazioni abbiamo riscontrato che alcuni assistiti sono in possesso di patrimonio -ha spiegato l’assessore ai Servizi Sociali Luigi Verderio– e così, dato che i soldi con cui copriamo le rette nelle strutture sono soldi pubblici, abbiamo pensato che nei casi di patrimonio certificato, l’assistito dovrà provvedere da solo al pagamento della retta, sino ad esaurimento del proprio fondo, o comunque sino ad una soglia residua stabilità da noi a 5.000 euro, raggiunta la quale sarà il comune a pagare come ha sempre fatto”.
Ecco dunque la novità che ha fatto alzare le antenne a diverse famiglie di assistiti, che sino a prima godevano della copertura comunale integrale. Si tratta di due cittadini ricoverati con un reddito inferiore ai 1000 euro, ma in possesso di titoli e libretti di risparmio di 15.000 e 20.000 euro. A loro il Comune chiede dunque di pagare la propria retta sino ad esaurimento di questo patrimonio accantonato, al termine del quale, o raggiunto un residuo di 5.000 euro, continuerà a provvedere come in precedenza.
Una di queste famiglie in particolare ha fatto ricorso al TAR lo scorso 30 maggio sostenuta dalla Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità), con Anffas Martesana e Anffas Lombardia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), per chiedere la sospensione del provvedimento introdotto da questo regolamento, che comporterebbe a suo dire un veloce prosciugamento delle risorse messe da parte dalle persone nel corso di una vita intera.
Ma non solo, l’altra osservazione portata davanti ai giudici, è che essendoci un valore reddituale ISEE attestato, dovrebbe essere preso in considerazione come indicativo di una situazione economica che necessità di sostegno, cosa che non accade con il Regolamento Comunale approvato di recente, che prende in considerazione invece solamente la parte patrimoniale dell’ ‘Indicatore della Situazione Economica Equivalente. In soldoni: per il Comune conta se l’assistito possiede un patrimonio accantonato, non il reddito mensile, che solitamente è dato una pensione di invalidità di 287 euro e di un assegno di accompagnamento di circa 500 euro. “Un criterio come quello messo in atto dal Comune di Vimodrone è semplicemente inaccettabile” aveva dichiarato Marco Faini vicepresidente di Ledha e membro del comitato tecnico di Anffas Lombardia.
Ebbene, la battaglia legale portata avanti dalla famiglia di residenti con il sostegno delle associazioni, è stata vinta, e il Tribunale ha emesso una sospensiva immediata che congela di fatto il regolamento comunale appena approvato, almeno sino alla prossima udienza del 2017. I Giudici hanno ritenuto che ci fossero presupposti legali sufficienti per il ricorso, e che il regolamento così com’è debba essere sospeso. Sulla questione dell’ ISEE inoltre, il TAR è stato chiarissimo: “la normativa statale prevale sulla normativa locale”, per tanto l’amministrazione comunale “dovrà applicare in primo luogo le disposizioni nazionali in materia”.
“Siamo soddisfatti per questa prima decisione del TAR –ha proseguito Marco Faini – Perché significa che il nostro ricorso coglie nel segno. Tuttavia dover ricorrere alle aule di giustizia per ottenere il rispetto della legge e dei diritti dei cittadini con disabilità rappresenta sempre un passo che Ledha non vorrebbe mai essere costretta a compiere. Per questo motivo stiamo lavorando con Regione Lombardia e con Anci Lombardia per costruire un tavolo di confronto e per evitare che in futuro si verifichino altre situazioni simili”.
Dalla sua, l’assessore Luigi Verderio non ci sta e ribadisce: “Chiedere che un assistito con un patrimonio, lo usi per pagare la retta della residenza in cui è ospitato, è un diritto del comune che nulla ha a che vedere con il rispetto per la disabilità, sulla quale abbiamo sempre grande attenzione e responsabilità. Abbiamo solo proposto un principio di equità generale in base al quale la persona paga sino a che è in grado di farlo, e poi torneremo ad occuparcene noi. Rispetto all’ ISEE, ovviamente applichiamo i criteri nazionali e non ci sogneremmo di fare altro, oltre al fatto che non è possibile fare altro, ma a livello comunale siamo chiamati a stendere un regolamento con criteri e norme”.
Su criteri e norme però, è sempre Faini ha sottolineare come “questi criteri non devono essere discriminatori o illegittimi. E comunque non devono essere, come ha già chiarito la giurisprudenza amministrativa lombarda, criteri economici arbitrari“, e aggiunge: “Siamo di fronte a una situazione in cui c’è una grandissima eterogeneità delle decisioni prese dai Comuni. In ambiti territoriali anche relativamente ristretti troviamo regolamenti molto diversi tra loro”.
A gennaio 2017 si saprà di più, nel frattempo il Comune ha intenzione di fare ricorso al Consiglio di Stato.