Abbozza un sorriso, fa un sospiro di sollievo e inizia a raccontare. Giulio Facchi è uscito dall’ultima sentenza di un processo, il decimo, lungo 13 anni, con un totale ridimensionamento sia della sua presunta colpa, sia delle accuse a suo carico, sia dell’eventuale pena.
Nessun legame con i camorristi, nessuna collusione con la criminalità organizzata dei Casalesi, nessun favoreggiamento all’avvocato Cipriano Chianese considerato la mente dell’ Ecomafia, non più 30 anni di reclusione come richiesti dal PM Milita, ma solamente 5 anni con l’accusa di disastro ambientale colposo, tutto da verificare tra l’altro. Azzerati i capi d’accusa per falso ideologico, abuso d’ufficio, truffa aggravata ai danni dello stato, ma soprattutto, e i Giudici lo hanno ribadito chiaramente, Giulio Facchi non è un criminale, e se c’è stata colpa, non c’è stato dolo.
Ecco come, per il colognese 61enne, si avvia alla conclusione il processo Resit, il più grande sull’ecomafia e lo smaltimento dei rifiuti in Campania. “E’ la fine di un incubo“. Sono queste le prime parole ad uscire dalla bocca di Facchi, che prosegue: “E’ come se fossi stato assolto, perché sono cadute tutte le accuse infamanti che mi volevano legato alla Camorra. Accuse che mi hanno totalmente rovinato la vita. Ora la questione torna nel merito della mia attività istituzionale, condivisa con altri, come Commissario all’emergenza rifiuti; torna sul piano del reato ambientale, e sono sicuro di potermi difendere da questo, tanto che non mi interessa la prescrizione del reato, e voglio andare in appello per avere piena assoluzione“.
Giulio Facchi fu nominato nel 1999 Commissario all’emergenza rifiuti, e la situazione in cui doveva operare non era certo di normale gestione dell’immondizia, ma si trattava di un contesto ad alto rischio, in cui l’esigenza era quella di smaltire da un giorno con l’altro 3000 tonnellate di rifiuti: “Il Governo ci aveva conferito poteri speciali da utilizzare proprio in situazioni come quella, e sono sicuro di aver usato tutto ciò che mi era consentito per risolvere il problema -racconta- Ho emesso circa 300 ordinanze in quel periodo, ognuna dettagliata per filo e per segno spiegando il perché di ogni singola scelta, il perché di quelle forzature; e tutti quei documenti erano concordati con il Prefetto e portati a conoscenza di tutte le figure istituzionali allora di rilievo. Tutti sapevano, per tanto, ammesso e non concesso che io possa aver sbagliato, non posso essere il solo a pagare“.
In quel periodo dal 1999 ai primissimi anni 2000, Giulio Facchi ha vagliato diverse ipotesi per poter sistemare le prime 50.000 tonnellate di rifiuti da eliminare dalle strade. “La prima scelta ricadde su una discarica che fu poi scartata perché in procinto di essere sequestrata -spiega il colognese- poi puntammo su una discarica che era però l’unica ad ospitare materiali inerti, e cambiarle destinazione d’uso avrebbe significato creare danni enormi ai costruttori. Allora scegliemmo uno degli invasi della Resit a Giuliano, che aveva 6 discariche nel suo complesso”.
Il luogo scelto era già stato utilizzato per l’emergenza rifiuti nel 1996, e il precedente Prefetto l’aveva già autorizzata, per tanto era considerata a norma. “Un’ulteriore controllo confermò la sicurezza e così si misero altri teli protettivi e si riempì ancora l’invaso con altri rifiuti. Successivamente Chianese mi fece avere un report degli spazi disponibili nell’area Resit e individuai un altro invaso da 200.000 metri cubi in grado di diventare una discarica adeguata, regolamentata ogni giorno da controlli di ARPA e Provincia e messa a norma con le leggi vigenti all’epoca”.
Eccolo dunque il rapporto Facchi-Chianese, regolato da documenti e ordinanze alla luce del sole, senza che Facchi ci abbia tratto vantaggio personale o beneficio economico, senza legami con le criminose vicende della Terra dei Fuochi, e questo ormai è assodato anche dai Giudici. Che su Chianese pendano poi ulteriori capi d’accusa, è affare altro, e se c’è stato dolo da parte dell’avvocato-broker, probabilmente non vi è stato in quel caso e per quei due siti, anche perché, come spiega Giulio Facchi, ad ora dopo 6 anni di dibattimento, la Comunità Scientifica e l’ Istituito Sanitario Nazionale, non hanno rilevato condizioni tali per cui si possa parlare di disastro ambientale, e se questa tesi fosse confermata, cadrebbe di conseguenza anche l’ultima accusa mossa al 61enne di Cologno. “Sono curioso di leggere le motivazioni della sentenza, perché non ci sono ad ora dati e rilievi che descrivono l’esistenza di un disastro ambientale; per lo più si parla di una discarica con un alto tasso di inquinamento potenzialmente dannoso, e che per questo andrebbe sigillata l’area, ma non si attesta un disastro”.
Ora la lunga storia processuale di Giulio Facchi si appresta a diventare un libro, che dovrà fare probabilmente a meno di testimonianze importanti, di persone che nel corso di questa porzione di vita con lui si sono relazionate personalmente e privatamente, ma che pubblicamente hanno stentato a prendere ferme posizioni, e per svariate ragioni si defileranno anche stavolta. Del resto, le accuse e gli intrecci della vicenda Resit hanno messo sul tavolo nomi tristemente noti della criminalità cui Facchi è stato ingiustamente associato per anni, dai Casalesi a Nicola Cosentino a Licio Gelli, e per qualcuno la battaglia non è finita.
Le infamie pubbliche si sono aggiunte a calunnie personali e intime, che hanno compromesso vita e affetti del colognese, il quale ora però torna a camminare a testa alta, perché aveva ragione.