Geppino Micheletti
era un chirurgo triestino. Nel 1946 perse due figli piccoli, il fratello e la cognata a seguito dello scoppio improvviso di nove tonnellate di esplosivo che giacevano da anni in 28 mine accatastate sulla spiaggia di Vergarolla, a Pola. In quel pomeriggio drammatico del 18 agosto, Micheletti apprese della tragedia che sconvolse la sua vita mentre in ospedale, sotto i suoi ferri, arrivavano in continuazione feriti da quel luogo di morte. La sua vita era finita, almeno così per come era stata fino ad allora; il suo cuore annientato. Ma Micheletti continuò ad operare, non si distolse dal suo lavoro e salvò una vita dopo l’altra, e alla fine della tragedia se ne andò da quei luoghi. Dopo quel giorno tragico ancora velato dal mistero, molti italiani lasciarono Pola scegliendo l’esodo.
A Giuseppe Micheletti è ora intitolato un albero nel Giardino dei Giusti di Cologno Monzese, proprio davanti alla Chiesa di San Marco. Ieri 10 febbraio, in occasione della giornata del ricordo che celebra la memoria delle vittime delle Foibe, il sindaco Angelo Rocchi, l’assessore alla Cultura Dania Perego, accompagnati dalla giunta al completo e da molti assessori della maggioranza, hanno presieduto una piccola cerimonia resa molto intesa dalla presenza di alcuni esuli e figli di esuli, visibilmente commossi. “E’ importante per noi giuliani che si ricordi con questa manifestazione la nostra storia -ha raccontato con le lacrime agli occhi Verdura Luciano, nativo di Pola e residente a Cologno da anni (foto a sinistra)- penso a mio padre che combatté la guerra, e che diventò poi segretario dell’ Associazione Nazionale Invalidi di Guerra… c’è molta nostalgia… E bisogno che ci si ricordi di questa parte di storia, anche a Cologno“.
Così, davanti ad un capannello di cittadini, il sindaco ha ricordato le vittime delle Foibe, rifiutando ogni forma di strumentalizzazione politica di un dramma che ha toccato gli italiani, ma sottolineando come per anni, sino al 2004, “attenzione e rispetto siano stati negati” per una tragedia che, ha detto, “è uno degli esempi peggiori della multiforme, ingegnosa e ricorrente crudeltà umana“. L’assessore Dania Perego, che da tempo segue il percorso legato alla ricorrenza del 10 febbraio, ha riportato la storia di Geppino Micheletti, la cui memoria è stata onorata proprio ieri anche in Senato, e ha poi ringraziato tutti i cittadini e coloro che con le proprie testimonianze hanno arricchito questo progetto di memoria. “Il Dottor Micheletti nel 1947 ricevette la medaglia d’Argento al Valor Civile -ha spiegato l’assessore Perego- e oggi, sulle note del Va’ Pensiero, che come mi hanno sempre insegnato è la canzone degli esuli, noi poniamo questa targa, su questo albero, affinché i nostri concittadini con tali drammatiche storie alle spalle, si sentano più a casa loro anche qui a Cologno“.
E tra questi colognesi di adozione, c’è anche Bruno Belletti, in città dal 1977 ma istriano di origini: “Nel 1951 mio padre decise di prendere mia madre, mio fratello e me e lasciare Pola dopo che suo padre nel 1943 fu fatto prigioniero finendo nel lungo elenco di persone morte nel Foibe“. Il nonno di Belletti fu infoibato, e da lì in poi la sua famiglia inizio un lungo viaggio: “Passammo al centro di raccolta vicino a Udine con tutti i rifugiati, e da lì noi istriani fummo mandati nei 109 diversi campi di accoglienza allestiti in Italia. Noi andammo vicino a Napoli e poi ci spostarono al campo profughi di Monza che era nei locali ex scuderia della Villa Reale“. Bruno Belletti ha trascorso la sua vita tra i 2 e i 12 anni in un campo profughi, ed esprime disappunto per tutti gli anni in cui non ha assistito a nessuna commemorazione che ricordasse le Foibe e ciò che hanno rappresentato: “Solo nel 2006 il comune ha organizzato una conferenza, poi basta -ha concluso Belletti- poi siamo stati ancora dimenticati, ancora abbandonati”.
“Rifiutiamo l’oblio -ha concluso il sindaco- perché impedisce di imparare dalla Storia per correggersi ed evitare gli errori del passato, e riserva alle vittime la più ingiusta e beffarda delle sorti: la vanità di sacrifici e sofferenze”.