Tornare tra agosto e settembre.
Quando si torna dall’estate è sempre una gioia.
Dovrebbe essere il contrario, ma per noi donne non lo è. Per noi donne tornare dall’ estate vuol dire, racconti, sorrisi, foto.
Vuol dire ritrovarsi dopo un mese lontane, abbracci, vino e un piatto di spaghetti al pomodoro.
Tornare rosse come pomodori.
Rosse dal sole preso sulla spiaggia, camminando in montagna, in giro per le strade di Berlino, Dublino, Madrid, Istanbul, Marsiglia, Vienna.
Andare, partire, scoprire, esplorare, viaggiare…per poi tornare.
Tornare tra agosto e settembre, quando ancora gli impegni lavorativi non sono iniziati, quando le scuole sono ancora chiuse e i bambini giocano al parco fin dalle prime ore del mattino.
Tornare tra agosto e settembre che le giornate ormai si stanno accorciando e la sera ci vuole il golfino.
Tornare tra agosto e settembre per noi donne, amiche da sempre, è un appuntamento fisso, un momento sacro, un momento di festa: la salsa.
Otto donne e centocinquanta chili di pomodori.
Pomodori rossi, come la nostra pelle bruciata dal sole, rossi come i nostri ideali, come i nostri sogni come i nostri desideri per un mondo migliore.
Per questo compriamo pomodori rossi, di quel rosso che non sia, come il sangue di qualche migrante, che raccoglie pomodori nella terra del fuoco per pochi euro.
Ma rossi come l’amore con cui sono stati seminati e coltivati, rispettando la madre terra e i tempi della natura.
Terra, terra madre, anche lei donna che ci invita a tornare, tornare alla terra, terra dove siamo nate, terra lontana per qualcuna, terra che dona i suoi migliori frutti, terra che ci invita al raccolto…e a noi non resta che raccogliere.
La giornata inizia presto e alle otto del mattino siamo tutte intorno ad un tavolo a fare colazione, ma tanto c’ è sempre chi arriva in ritardo.
Cosi alle otto e mezza siamo tutte “grembiulizzate” montiamo le macchine per lavorare e si aprono le danze i suoni e i canti tra le otto donne e i centocinquanta chili di pomodori.
Una parte sono nella vasca da bagno…i pomodori non le donne.
Lava strofina e asciuga, asciuga strofina e lava.
Il lavoro si fa sempre in coppia, la schiena duole e i cambi sono frequenti.
Poi vengono portati sul tavolo della cucina.
I pomodoro vengono tagliati, affettati in fretta e fatti a fette.
L’odore del pomodoro tagliato risveglia ricordi antichi quando ancora quelle donne non erano ancora donne. Ricordi di bambine, di terre lontane di famiglie matriarcali, di nonne, cugine e zie, che in fondo ognuno faceva la salsa a modo suo:
Il pomodoro si cucina con la buccia.
Il pomodoro si cucina senza buccia.
I barattoli vanno bolliti e avvolti in uno strofinaccio.
I barattoli vanno imbottigliati bollenti.
Il basilico è fondamentale.
Il basilico non si mette mai, è un rischio!
La salsa ha troppa acqua!
La salsa è troppo densa!
La salsa deve stare sul fuoco almeno un paio d’ore.
La salsa va lasciata sul fuoco cinque minuti dopo l’ebollizione.
Due giorni non bastano, vi ci vorrà almeno una settimana.
In un giorno fate tutto.
I barattoli vanno a testa in giù.
I barattoli vanno lasciati al buio.
Un barattolo ha fermentato: l’aglio l’avete messo? L’olio? Il sale? Qualcuno aveva le mestruazioni?
Consigli, metodi, formule magiche, per le otto donne e i centocinquanta chili di pomodori.
Come streghe, curiamo con attenzione ciò che bolle in pentola.
Grossi pentoloni, colmi di pezzi di pomodori lasciati andare sul fuoco per qualche ora.
Finalmente una pausa: sigarette, sorrisi, un bicchiere di vino e qualche bruschetta.
Ma non c’è tempo per riposare bisogna lavorare.
Contiamo le casse e non siamo neanche a metà.
Dopo un lungo tempo sul fuoco, i pomodori finalmente sono pronti per essere passati in macchina.
Il rumore della macchina da lavoro non ferma le risate e i canti che dal terrazzo rimbalzano sulla strada. Di tanto in tanto un passante ci saluta, ma non sentiamo che cosa ha da dire, il rumore della macchina ha un suono troppo alto. Così ci limitiamo ad alzare un braccio, a mandare un bacio e rimandare la conversazione “…non posso adesso, oggi siamo di Salsa!”
Pomodori caldi nella macchina da lavoro e lei ci restituisce, da una parte nettare denso e rosso, dall’altra grumoli di bucce più chiare, schiacciate tra loro che sembrano consumate, ormai più in grado di dare nulla.
Invece, passiamo le bucce una, due, tre volte quelle bucce che sembravano da buttare ma che invece nascondono il nettare più denso quello più buono più rosso che, se non l’avessimo saputo, avremmo buttato almeno una decine di barattoli di salsa.
Gira, gira e gira, trasforma passa e ripassa.
Ora non si parla più di chili ma di litri e litri di pomodoro. Tutti quei litri ancora in pentola, ancora sul fuoco, ancora una volta per un tempo lungo.
Un tempo che sembra non passare mai.
Affaticate cerchiamo una sedia dove riposare, che non sia occupata da una cassette di legno.
Sudate, dal colla alla schiena, la fronte e le gote, tra il seno.
Stanche, stremate, sudate e sorridenti le otto donne con i centocinquanta chili di pomodori
Aspettiamo, scoperchiando la pentola di tanto in tanto, speranzose di vedere qualche bolla che spunta timida tra il denso contenuto rossastro.
Un attesa lunga che ripaga.
Ecco le prime bolle nella salsa.
“Bolle è pronta!” L’ urlo di richiamo che raduna le otto amiche intorno alla grande pentola.
L’ultimo passaggio, quello più importante: la conserva.
Le donne lavorano insieme.
Viene preso il vasetto vuoto.
La salsa bollente viene travasata delicatamente dentro ad ogni vasetto.
Il tutto viene passato a chi ha il compito di pulire accuratamente i bordi del vasetto di vetro, se sporchi di salsa.
Il vasetto viene chiuso e infine messo a testa in giù e coperto con un telo scuro per evitare che la luce possa alterare il nettare prezioso.
Vasetto pulito, vasetto passato, vasetto riempito.
Otto donne che passano, puliscono e chiudano. Si fa in silenzio, per mantenere la concertazione, per non sbagliare, per non bruciarsi, un rito lungo tutto una giornata.
Centocinquanta barattoli di pomodori sono lì, a testa in giù, al buoi.
Tutte attendiamo l’ultimo suono.
Siamo tutte intorno al tavolo ad attendere quel piccolo suono che produce il tappo quando va sotto vuoto, che sembra che ci dica: “…state tranquille è andato tutto bene! Ora potete conservare questo barattolo per mesi e mesi! Brave ragazze, siete state brave!”
Tutte intorno al tavolo aspettando, aspettando, aspettando, e …
“Tac! Tac! Tac!
Tac! Tac! Tac!
Tac! Tac! Tac! ”
Ecco la grande festa. Non è festa se non c’è l’ultimo ballo, l’ultima canzone, l’ultimo pezzo da ballare.
“Tac! Tac! Tac!
Tac! Tac! Tac!
Tac! Tac! Tac! ”
Tutti tranne uno. Un solo barattolo che non canta, che non suona, che non può essere conservato.
Un solo barattolo che va mangiato subito.
E allora non rimane altro che
tornare…
Tornare a mettere l’acqua sul fuoco,
tornare ad aspettare che bolla e
buttare un chilo e mezzo di pasta.
Tornare.
Tornare tra agosto e settembre per raccogliere, trasformare e conservare.
Tornare per noi donne, vuol dire ritrovarsi dopo un mese lontane, abbracci, vino e chiudere tutto con un piatto di spaghetti al pomodoro.