Emirati Arabi, Repubblica Dominicana, Gran Bretagna
. E ancora, Zambia, Francia, California.
In questi ultimi mesi i nostri “ragazzi fuori dal comune” ci hanno fatto viaggiare in ogni angolo del mondo, raccontandoci le loro fatiche, le motivazioni che li hanno spinti a partire, le bellissime esperienze che stanno vivendo lontani da casa. Sono tutti ragazzi e ragazze tra i 19 e i 35 anni, originari della Martesana ma ormai cittadini del mondo a tutti gli effetti. Ognuno di loro ci ha raccontato la propria esperienza, fatta di alti e bassi, ma sempre di tanta ambizione e voglia di fare.
Qualcuno di loro è partito per imparare il mestiere dei suoi sogni, come Davide Salvi, che sta facendo un master in giornalismo a Cardiff: “Il giornalismo anglosassone è più pungente, diciamo meno da salotto. Il master in Italia oltretutto è piuttosto selettivo, all’estero ci sono molte più possibilità in particolare per i ragazzi giovani: c’è una grande opportunità lavorativa come free lance, mentre in Italia pare essere l’ultimo scalino della scala gerarchica. Puoi avere contatti con diverse riviste e redazioni, è un mondo più variegato. Ho realmente l’occasione di fare quello che mi piace e anche se l’anno prossimo mi dovessi ritrovare a lavorare da McDonald sarei soddisfatto di quello che ho fatto”.
Qualcun altro ha dato il via ai propri spostamenti partendo per lavorare ad un progetto innovativo dopo la laurea. “Su consiglio del mio relatore ho incontrato Lou, un professore cinese a Milano per pochi giorni per una conferenza. È stato lui ha parlarmi di un progetto un po’ matto: un esperimento di design sostenibile in un’isola rurale a pochi kilometri da Shangai- ha raccontato la carugatese Serena Pollastri che ora vive a Lancaster- Giusto il tempo di fare il visto ed ero già a Shangai, senza casa, senza parlare una parola di cinese e senza conoscere nessuno in città. Inizialmente sarei dovuta rimanere un anno…Ma un anno in Cina non basta!”.
Roberto Codazzi di Cernusco invece ha collaborato ad una serie di progetti solidali, sia dall’Italia che sul luogo, nella Repubblica Dominicana, come ci ha raccontato: “In questi primi dieci mesi ho lavorato nell’Oficina Técnica Provincial assumendo piano piano responsabilità su diversi progetti attivi quali la conservazione di una Riserva Scientifica e il lavoro con la popolazione che vive nelle vicinanze per fornire loro un modello di sviluppo sostenibile attraverso la coltivazione del cacao, il sostegno al Centro di attenzione alla diversità che lavora con minori con necessità educative speciali, lo sviluppo di progetti di promozione culturale e molte altre aree. Come principale responsabilità mi è stata affida la redazione del Piano Strategico Provinciale per i prossimi vent’anni e per questo ho iniziato a collaborare con l’agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP)”.
Le difficoltà per questi ragazzi e ragazze non sono state poche, come ci ha raccontato anche Aurelia Penza, carugatese 29enne ora in California ma che per alcuni mesi ha lavorato all’ampliamento del Canale di Panama. “La vita al cantiere di Panama si rivelò subito per quello che era: duro lavoro, mille sacrifici e tante difficoltà. Il primo problema era quello della lingua: con gli operai panamensi era possibile interagire solo in spagnolo. Secondo, ho dovuto affrontare una cultura nuova, fortemente diversa da quella europea, imperniata di tradizioni e soprattutto di un forte maschilismo”.
Tante le difficoltà, ma anche le esperienze particolari e indimenticabili. Roberta Sardi, arrivata a Londra da Brugherio, ha lavorato per un periodo all’Hotel Hyatt Recency The Churchill, molto frequentato da personaggi famosi. “Di certo non mancavano scandali, paparazzi e richieste che non stavano nè in cielo nè in terra, ma come hotel di lusso, con il sorriso e cordialità, si esaudivano tutte le richieste nel limite del possibile. Vidi e parlai con Sylvester Stallone, Bjork, Marilyn Manson, Noel Gallagher, Bryan Adams, Tom Cruise, Tony Blair, Michael Jackson, Kate Moss e Russel Crowe. Ricordo in particolare quando venne Nelson Mandela, portava con sé un’atmosfera surreale”.
Sono tante le emozioni che un’esperienza all’estero può darti,, ma la propria casa resta sempre nel cuore. Sono tante le cose di cui i ragazzi emigrati hanno nostalgia, dalle più comuni, come quella per il cibo, alle più particolari, come le stagioni. “Sento molto la mancanza dei piatti tipici italiani, come pasta e pizza– ha raccontato la diciannovenne Iman Abdullahi, originaria di Agrate– Ma anche semplicemente di piatti normali. Mi spiego meglio: Londra, purtroppo è, dopo le città statunitensi, quella che nel mondo conta più fast food. Mc Donald, Burger King, KFC e altri sanno sempre come spingere la gente a fermarsi per mangiarsi un boccone”. A Matteo Vitali, che viene da Carugate, invece manca qualcosa che a Dubai purtroppo non potrà mai portare: “Ho nostalgia delle stagioni. Qui sono tutte uguali!”.
Vivere all’estero ti cambia, a partire innanzitutto dal modo in cui vedi il mondo e come tu ti vedi inserito in questo. “Sono fermamente convinto che per i giovani europei ormai il campo di ricerca di un lavoro non può essere più solo l’Italia o la propria nazione di appartenenza– ha spiegato il colognese David Borghetti– Bisogna ragionare ormai in un’ottica europea, personalmente penso all’Unione Europa come un unico insieme avente l’inglese come lingua franca e dove le distanze sono ridotte. Anche qui a Praga quindi, sebbene sia una città totalmente nuova per me, non mi sento del tutto uno straniero in quanto cittadino dell’Unione Europea, ad un’ora d’aereo da Milano”.
Qualcuno ha avuto anche l’occasione di vedere da un punto di vista molto particolare questioni culturali e sociali molto delicate, come quelle razziali. Marco Pezzoli, originario di Carugate, ci ha raccontato della sua vita di europeo in Africa. “Io qui in Zambia sono un “bianco”. Punto. Sono bianco e come tale vengo giudicato, con i pregiudizi e le conseguenze che ognuno può immaginare. Il popolo zambiano è estremamente pacifico ed accogliente e questo sicuramente aiuta nei rapporti interpersonali. Dal mio punto di vista questo è in un certo senso comprensibile, io mi sono sempre sentito e mi sento ancora in parte responsabile per tutto quello che l’Africa ha subito a causa “nostra”. Difficoltà c’è e ci sarà sempre purtroppo”.
“Quando lavoro all’estero sono appagato sotto molti aspetti, ma diciamo che l’idea di volermi costruire una vita in Italia non manca mai. Adoro viaggiare e vedere posti nuovi ma adoro ancora di più il mio Paese. So che per il momento tornare non è possibile, ma sono fiducioso che prima o poi le cose cambino” ci ha raccontato Roberto Poggi, cuoco 32enne di Brugherio. Qualcuno di loro, come Roberto, alla fine ha confessato che tornerebbe a vivere in Italia, qualcuno invece è convinto che la propria strada lo porterà ancora lontano dall’Italia, magari in altre nazioni diverse da quelle in cui si trovano ora. Di una cosa sono tutti certi: vivere all’estero ha cambiato la loro vita e di questa scelta nessuno di loro si è mai pentito.
Cliccando sul nome dei ragazzi intervistati potrete leggere l’intervista completa, pubblicata sulle pagine di Fuori dal comune negli ultimi mesi.