Quella di Roberta Sardi è una storia fatta di alti e bassi, ma soprattutto di costanza e determinazione, caratteristiche che l’hanno portata a lottare contro le prime difficoltà sino a sentirsi realizzata, tanto che oggi, quasi 31enne, può dire in completa sincerità “sono passati 10 anni dalla mia decisione di viaggiare e non cambierei nulla”.
Tutto comincia da Brugherio, dove Roberta abitava, e da Monza, dove studiava all’Olivetti. Qualche mese prima della maturità viene assunta al “Grand hotel et de Milan”, lussuoso albergo nel cuore del quadrilatero della moda milanese. Lì fa le sue prime esperienze lavorative e si rende conto che qualcosa manca ancora alla sua formazione. “Circa un anno dopo l’assunzione, nel 2004, mi resi conto che non potevo essere all’altezza dei miei colleghi, che parlavano due o tre lingue fluentemente senza nessun problema. Dopo una chiacchierata con un caro collega e diretto superiore, decisi di lasciare un posto a tempo indeterminato per viaggiare, e per eventualmente ritornare con un bagaglio culturale migliore ed essere alla loro altezza”.
Lasciata la sicurezza di un posto fisso, Roberta compra un biglietto di sola andata per l’Irlanda, destinazione Kenmare, colorata cittadina nella contea di Kerry, nel sud ovest dell’isola. Qui trova lavoro come “runner”, cioè colei che porta i vassoi per i camerieri, in un “Relais & Chateaux”, la catena di lusso che ha alberghi in tutto il mondo. Dopo soli sei mesi, a causa di un litigio con una collega, viene licenziata, ma non si lascia abbattere e prende un traghetto per l’Inghilterra.
A Londra trova un’occupazione, ma ogni giorno c’erano i conti da fare con le spese necessarie per vivere. “Trovai un lavoro sempre come runner in un ristorante sardo in Camden Town, il che aveva un po’ del comico considerando il mio cognome! Ero pagata £3 l’ora più rispetto a prima, più qualche finta mancia sempre se qualcuno non la faceva sparire subito. Parliamo di una media di 11 ore al giorno per soli £130/150 la settimana, di cui £80 se ne andavano in affitto e £20 per la metro”.
Insomma, la vita non era sempre rose e fiori, ma Roberta non si dà per vinta e continua a guardarsi intorno. “Dopo circa 6 mesi da quando ero arrivata nella capitale venni assunta all’ “Hyatt Regency The Churchill” come receptionist e fu da lì che davvero iniziai a imparare l’inglese, perché avevo colleghi di tutte le nazionalità e ci aiutavamo a vicenda. Poi iniziai al “The Dorchester”, grande hotel di valore storico e con clienti di prestigio. Lì durante la mia permanenza vidi molti cantanti, attori e anche capi di stato”.
Di quell’esperienza Roberta ricorda i visi noti che vide passare e tutti gli “effetti collaterali” che i personaggi famosi portavano con loro. “Di certo non mancavano scandali, paparazzi e richieste che non stavano nè in cielo nè in terra, ma come hotel di lusso, con il sorriso e cordialità, si esaudivano tutte le richieste nel limite del possibile. Vidi e parlai con Sylvester Stallone, Bjork, Marilyn Manson, Noel Gallagher, Bryan Adams, Tom Cruise, Tony Blair, Michael Jackson, Kate Moss e Russel Crowe. Ricordo in particolare quando venne Nelson Mandela, portava con sé un’atmosfera surreale”.
A causa dei duri turni di lavoro, Roberta lascia ancora una volta il suo posto e passa a fare la receptionist in una palazzina di uffici. “Iniziai non solo un lavoro di reception ma anche di gestione e amministrazione insieme al mio Building Manager John. Dopo qualche anno John mi confidò che avrebbe voluto andare in pensione e che se volevo il suo posto avrei dovuto studiare”. Era giunto il momento di tornare sui banchi di scuola, precisamente quelli della BIFM (British Institute of Facilities Management), dove riesce ad ottenere la qualifica di “facilities manager”. “Circa un anno dopo la mia qualifica, venni cercata da una ditta che aveva bisogno di un Building Manager in Holborn. Ero insicura sul da farsi, forse per il rimorso di lasciare li John, ma dopo un po’ di persuasione accettai”.
Sono passati 5 anni da quel giorno e ormai Roberta ha realizzato il suo sogno. “La nuova ditta investì ancora su di me facendomi prendere un’altra qualifica relativa alla sicurezza sui cantieri, con approfondimento sul lato della gestione a prodotto finito. Oggi sono responsabile di un palazzo commerciale appena completato nel cuore della City, con un team di receptionist, security, manutentori e personale delle pulizie”.
Gli anni all’estero e il contatto con culture diverse l’hanno certamente arricchita molto.
“Penso che se uno cerca di integrarsi invece che costruire barriere e cerca di accettare culture e usanze diverse, facilmente possa diventare uno di loro. Ho amici e colleghi di tutte le nazionalità, molti inglesi ovviamente, ma anche di origini diverse come per esempio la mia coppia di amici Daniel e Svetlana: lui è mezzo tedesco e mezzo portoghese lei, sua moglie, è Serba. A lavoro sono l’unica italiana, ma ci sono portoghesi, polacchi, slovacchi, liberiani, insomma un po’ di tutto, e tutti disposti a dare il massimo. Qui poi esiste veramente la meritocrazia, volentieri i superiori investono molto sul personale, uomo o donna che sia”.
Le tante difficoltà affrontate l’hanno portata delle volte a pensare di tornare, ma la determinazione e la positività nei confronti del futuro hanno avuto la meglio. “Ai tempi pensai anche di tornare ma ormai le mie cose, i amici e la mia vita sono qui. Al momento non trovo che tornare in Italia con tutta l’insicurezza e la burocrazia straziante sia una grande idea. Quindi no, posso dire con una certa sicurezza che non penso di ritornare in patria prima della pensione!”.