“O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 114
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Dante Alighieri – Divina Commedia – Inferno – Canto XXVI°
Domenica 1° marzo alle ore 16.30 nella sala conferenze della Biblioteca Camerani di Cassina De’ Pecchi (Viale Trieste), andrà in scena un connubio davvero azzeccato che unisce poesia e riflessione sociale, solidarietà e letteratura.
Così, per la Giornata Internazionale dei Diritti dei Migranti, e in occasione del 750° anno dalla nascita di Dante Alighieri, il Comune cassinese con Africa Solidarietà Onlus, hanno organizzato un reading poetico sul tema dell’abbandono delle proprie terre per cercare una vita migliore altrove.
Il viaggio disperato, la condizione di migrante, il pericolo, tutto questo sarà affrontato partendo dal XXVI Canto della Commedia, meglio noto come “Il canto di Ulisse” , per poi essere ripreso nei testi di autori africani come Pap Khouma, giornalista e scrittore, e di Sheikh Tediane Gaye, poeta, scrittore e Presidente di Africa Solidarietà Onlus.
L’incontro, cui parteciperanno il Sindaco Massimo Mandelli e l’Assessore alla Cultura Laura Vecchi, è a sostegno del progetto “Dante Dakar“, che si propone di raccogliere libri in lingua italiana da consegnare all’Università di Dakar, in Senegal, a disposizione del Dipartimento di Italiano.
Naufraghi Inversi, gruppo teatrale che ripropone la Divina Comemdia recuperando stilemi teatrali e una recitazione toscana colloquiale mutuata dalla lingua volgare dantesca, aprirà l’evento con la declamazione del Canto di Ulisse.
Qui sotto vi riproponiamo l’estratto del canto XXVI° nel quale Ulisse parla a Dante, che se letto all luce delle tragedie del mare che la quotidianità ci ripropone, è ancora di più forte impatto.
“Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica; 87
indi la cima qua e là menando,come fosse la lingua che parlasse,gittò voce di fuori e disse: “Quando 90mi diparti’ da Circe, che sottrasseme più d’un anno là presso a Gaeta,prima che sì Enëa la nomasse, 93né dolcezza di figlio, né la pietadel vecchio padre, né ’l debito amorelo qual dovea Penelopè far lieta, 96vincer potero dentro a me l’ardorech’i’ ebbi a divenir del mondo espertoe de li vizi umani e del valore; 99ma misi me per l’alto mare apertosol con un legno e con quella compagnapicciola da la qual non fui diserto. 102L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,e l’altre che quel mare intorno bagna. 105Io e’ compagni eravam vecchi e tardiquando venimmo a quella foce strettadov’Ercule segnò li suoi riguardi 108acciò che l’uom più oltre non si metta;da la man destra mi lasciai Sibilia,da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111“O frati,” dissi, “che per cento miliaperigli siete giunti a l’occidente,a questa tanto picciola vigilia 114d’i nostri sensi ch’è del rimanentenon vogliate negar l’esperïenza,di retro al sol, del mondo sanza gente. 117Considerate la vostra semenza:fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir virtute e canoscenza”. 120Li miei compagni fec’io sì aguti,con questa orazion picciola, al cammino,che a pena poscia li avrei ritenuti; 123e volta nostra poppa nel mattino,de’ remi facemmo ali al folle volo,sempre acquistando dal lato mancino. 126Tutte le stelle già de l’altro polovedea la notte, e ’l nostro tanto basso,che non surgëa fuor del marin suolo. 129Cinque volte racceso e tante cassolo lume era di sotto da la luna,poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo, 132quando n’apparve una montagna, brunaper la distanza, e parvemi alta tantoquanto veduta non avëa alcuna. 135Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;ché de la nova terra un turbo nacquee percosse del legno il primo canto. 138Tre volte il fé girar con tutte l’acque;a la quarta levar la poppa in susoe la prora ire in giù, com’altrui piacque, 141infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”.