Federica, Giulia e Paola
,sono tre ragazze giovanissime, amiche e calciatrici che vivono a Roncello, Vimodrone e Pioltello.
Con loro, e con la loro testimonianza di un viaggio “fuoridalcomune” e di volontariato, abbiamo deciso di chiudere il nostro percorso estivo all’insegna degli stimoli per un modo di viaggiare insolito, utile e sostenibile.
Le tre ragazze sono reduci da un’esperienza molto forte ad Haiti,
dove hanno preso parte ad un progetto di sport e volontariato pensato dal Centro Sportivo italiano (profilo ufficiale CSI per Haiti) e realizzato in collaborazione con il Ministero dello Sport di Haiti, i Padri Scalabriniani e le Suore del Sacro Cuore di Gesù.
Dal 21 luglio al 17 agosto, le tre giovani sono partite con una spedizione di 40 volontari alla volta di Port Au Prince, capitale dello stato haitiano, ad oggi uno dei più poveri al mondo. Lì nella capitale, e poco più in là in un villaggio nel nord ovest del paese, Federica, Giulia e Paola hanno iniziato il loro percorso di sostegno ai piccoli bimbi haitiani attraverso lo sport e i molteplici valori che veicola, un percorso fatto anche di animazione e di formazione di giovani adulti haitiani, chiamati a continuare il percorso iniziato dai volontari, anche durante tutti gli altri mesi dell’anno.
“E’ stato il mio terzo anno ad Haiti con il CSI -ha raccontato Federica Biffi, che si trovava con Giulia a Mar Rouge, paesino isolato nel Nord Ovest ad 8 ore dalla capitale- eppure questa volta è stato ancor più intenso e coinvolgente. Questa volta siamo stati a contatto con la gente che vive lontano dalla capitale, dove il tempo pare essersi fermato, dove non c’è alcuna comodità, nemmeno l’acqua corrente, nessuna strada e solo baracche e capanne. Ho vissuto davvero come loro, compreso meglio la loro situazione che è ancora più avversa rispetto alla capitale, e mi è sembrato di portare davvero qualcosa in più alla loro vita con questo progetto, e qualcosa in più è rimasto anche a me“.
Giulia Stefanelli, al suo secondo anno come volontaria CSI ad Haiti, ha avuto le stesse impressioni passando dalla capitale Port au Prince alla piccola e sperduta realtà di Mar Rouge: “E’ stata un’esperienza più difficile ma ancora più vera. Le persone del paesino non erano abituate ad avere a che fare con i volontari, gli stranieri, perché le ONG non si spingono fino a lì con i loro progetti. Essere i primi ad arrivare anche in questa comunità, ci ha dato la sensazione di iniziare davvero a fare qualcosa di concreto per loro, di portare davvero un aiuto atteso in un luogo che non conosce nemmeno le strutture minime che ha la capitale perché portate da altre organizzazioni e fondazioni, che paragonate alla situazione di Mar Rouge sembrano quasi un lusso. E’ stato ancora più interessante e mi ha arricchito ancor di più questa esperienza rispetto al passato che già mi aveva dato tantissimo“.
Paola Amadeo invece, è stata nella capitale ma non in centro, ma nella periferia, per le poverissime vie del quartiere, e ha ancora negli occhi l’entusiasmo forte ed emozionato della prima esperienza, quella che più di tutte lascia un segno profondo sul quale costruire un nuovo modo di vedere le cose: “E’ un doppio shock. All’inizio ti ritrovi in un ambiente completamente diverso dal tuo, lontanissimo da casa, con persone che non conosci, e fatichi a comprendere le nuove dinamiche e i meccanismi di un paese come Haiti. Poi, una volta che ingrani, il secondo shock è comprendere a pieno come ci siano una serie di cose che noi diamo per scontate nella nostra quotidianità, e che per loro sono impensabili, o straordinarie, come avere l’acqua, un pasto sicuro o anche un semplice pallone per giocare. Nonostante il clima torrido, le situazioni difficili e il caldo che abbassava le forze, il motivo per cui ero lì e le persone con cui avevo a che fare, mi davano una carica e un’energia per sostenere qualsiasi cosa con grinta ed entusiasmo, molto più di quanto non capiti qui a casa per affrontare la vita comoda di tutti i giorni”.
Insomma, Haiti è uno stato politico e geografico, ma ad ascoltare le tre ragazze sembra essere soprattutto uno stato del cuore, “uno stato mentale, uno stato dell’anima, qualcosa che prende e ridà molto più di quanto ha ricevuto.
“Anche se non è stata la prima esperienza ad Haiti, torno a casa portando via molto più di quanto mi aspettassi” ha raccontato Federica, mentre Giulia ha aggiunto: “Nella nostra quotidianità ci è più difficile comprendere dove davvero possiamo essere utili, là si è esposti completamente alle esigenze degli altri ed è impossibile tornare a casa senza aver imparato qualcosa di più su come stare al mondo“. Da parte sua Paola conclude così: “Quando arrivi ad Haiti ti senti un estraneo, poi ti senti davvero a casa e paradossalmente quando ritorni in Italia ti senti straniero in patria e per riambientarti cerchi di portare in ogni giornata che vivi qui a Milano, quella carica, quell’energia che hai scoperto di avere e di poter donare quando eri là. Haiti resta dall’altra parte del mondo, ma ciò che significa non finisce certo con il viaggio di ritorno, Haiti continua ogni giorno della nostra vita“.
E’ innegabile che l’entusiasmo di Paola, Giulia e Federica (rispettivamente classe “93, “94, e “93),
faccia venire a tutti la voglia di partire per un’esperienza simile che possa aiutare altri, e sconvolgere il nostro mondo, darci una scossa. Per questo anche in chiusura di rubrica abbiamo voluto raccontarvi una storia così importante, e torneremo sull’argomento anche in futuro.
Per adesso vi lasciamo con un consiglio delle tre ragazze che abbiamo conosciuto in quest’intervista: “Fate un viaggio così, perché per cambiare il mondo che spesso critichiamo tanto, dobbiamo innanzitutto modificare qualcosa in noi stessi, e un viaggio di questo tipo inizia con te che vuoi cambiare le cose, e finisce con le cose che cambiano te, la tua vita, il tuo mondo fatto di certezze, e ti migliorano“.