BETTA VA DI FRETTA

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Elisabetta va sempre di corsa, anche il suo nome non riesce a starle dietro, infatti per fare prima si fa chiamare da tutti Betta.

 

A volte le sembra di non aver tempo nemmeno per respirare, sicuramente non per respirare come si deve. Non è una brava donna di casa e forse nemmeno una brava madre ma non ha tempo per migliorare.

Lavora tutto il giorno e la sera è nervosa e alza la voce con i figli stanchi e affamati, gli urla addosso la sua frustrazione   poi, mentre lava i piatti del giorno prima, ci pensa, si pente e allora chiede scusa e li bacia e gli dice che li ama.

 

Ritira i panni asciutti, stende quelli bagnati, lava quelli sporchi, fa la pasta in bianco e poi gli accende il pc così stanno buoni per dieci minuti.

Betta allora va in bagno e accende la sigaretta, guarda fuori dalla finestra e mentre fuma guarda le luci degli aerei che passano,  la fanno sognare quelle lucine gialle che si muovono in cielo, molto più che le stelle. Fuma piano e se ne sta lì ad accarezzare la notte con lo sguardo mentre consuma la sigaretta.

 

“Mi scappa la cacca!”, butta la sigaretta a metà, li lava, li sveste, li veste e li porta  nel suo letto per fare prima. Se li bacia dappertutto, ne ha bisogno, soprattutto sulla bocca, li stringe forte, li lecca anche un po’ chiedendosi se sia sbagliato ma tanto non sa resistere;  loro ridono la circondano di braccia e gambe e le dicono che le vogliono bene, la accarezzano e ricambiano i baci e lei in quel nido di tenera carne si addormenta senza pensare ai vestiti da preparare per l’indomani mattina, alla merenda e alle scarpe da tennis da mettere in cartella che il martedì c’è motoria.

 

Il giorno dopo si sveglia ancora mezza vestita districandosi fra gli arti dei suoi figli.  si infila le calze, il maledetto tubino nero che è per lei come  la tuta blu di un operaio, li veste nel letto ancora addormentati, li mette in macchina con un biberon ciascuno e li porta alla scuola materna.

 

Deve fare presto, Betta non si è ancora truccata e deve anche passare al supermercato. Ci sono dieci minuti di strada, bastano e avanzano per il solito make up. Sulla statale apre il piccolo beauty, le ginocchia mantengono il volante, prende fondotinta e spugnetta  e guardandosi nello specchietto retrovisore si spalma la faccia, il fard è un giochetto, basta una mano e a memoria si colora le guance.

 

Primo semaforo, è rosso, c’è poco tempo, mette il rossetto solo sul labbro superiore e poi deve ripartire. C’è coda, bene, può cercare il mascara, sfila lo spazzolino, le suonano, deve ripartire ma è esperta, lo sa mettere in movimento, fissa la strada tenendo ferma la testa e spazzola le ciglia dell’occhio destro dalla giusta distanza, il sinistro è un po’ più complicato:l braccio finisce davanti all’occhio destro, non vede la macchina che le inchioda davanti, ci finisce addosso senza nemmeno frenare.

 

Lo spazzolino del mascara si conficca preciso nell’occhio.

 

Betta alza la testa dal volante, ha la vista annebbiata, con fatica mette a fuoco l’orologio, si accorge che sono già le otto e mezza, deve fare veloce, un altro ritardo e rischia il licenziamento. Abbandona la macchina e a piedi si avvia verso il supermercato incurante degli insulti dell’automobilista tamponato.

“Chiamo la polizia! Si fermi!” ma la voce scompare mentre si allontana di fretta.

 

Betta cammina veloce, scarta i bancari appesi alla ventiquattrore che la guardano dall’alto delle loro sedici mensilità disapprovando con dei piccoli no della testa.

Attraversa con passo spedito il bar del centro commerciale dove le casalinghe vanno a bere il caffè con le amiche prima di fare la spesa; anche loro guardano senza farsi vedere, loro approvano, riconoscono il tappo giallo del mascara, è quello che fa le ciglia folte e lunghissime. Ottimo rapporto qualità/prezzo.

 

Betta prende il carrello direttamente dalla lunghissima fila in movimento spinta dal solito pachistano che riesce a farla zigzagare attraverso i clienti senza fare incidenti. Sembra l’incantatore di un enorme serpente metallico, lui tiene sempre gli occhi bassi, così gli hanno insegnato al suo paese. L’uomo si ferma le fa prendere il carrello, non alza lo sguardo e non parla, forse pensa alla moglie e ai figli restati a Karachi.

 

Reparto frutta e verdura: le mele, le banane e le patate, tasto quindici, sessantasette, diciotto, Betta è concentrata, deve ricordarsi il terno secco per non fare avanti e indietro per tre volte; alle bilance una piccola lacrima di sangue esce dall’occhio infilzato e poi cade sul sacchetto delle banane.

 

“Signora! L’ho vista sa?” le inveisce contro una cinquantenne ingioiellata stretta in uno splendido tailleur color champagne.

“Il guanto! Il guanto non l’ha messo!” Betta la guarda e ripensa ai numeri sedici, sessantasette, ottantuno … no diciassette, settantasei, diciotto. E’ inutile non si ricorda più, guarda la signora senza parlare, fa girare un paio di volte il sacchetto delle patate e poi la colpisce alla tempia. La signora si accascia svenuta sul pavimento. Betta urla: ” Aiuto! Si sente male, dov’è la sicurezza?” Immediatamente accorrono due energumeni armati che soccorrono impacciati la donna priva di sensi. “Quindici e sessantasette , ecco si”, pesa la roba e s’incammina nel reparto della carne.

 

Le bistecche famiglia non sono ancora sul banco. Betta scosta la tenda del retro dove i macellai tagliano la carne e fa qualche passo chiedendo permesso ma non vede nessuno. Dalle spalle si sente schiacciare con decisione verso il muro piastrellato, “Cosa ti serve bella signora?”.

Riconosce la voce del macellaio, quello che le fa sempre le battute sconce, sente premere il sesso dell’uomo sulle natiche, “Le bistecche”, dice lei cercando di divincolarsi, “Ho fretta”.

“Sono veloce, non si preoccupi”, lui le alza la gonna e la penetra da dietro, le da dei colpi secchi e veloci e viene prima di arrivare a dieci.  Il viso di Betta è premuto sulle piastrelle che si sporcano del suo sangue e di quello delle mani lorde del macellaio.

 

L’uomo si stacca da lei e allontanandosi senza guardarla borbotta  “Le ho appena messe fuori, le bistecche”.

Betta torna di là, le trova, ne prende una confezione e la mette nel carrello, poi lo yogurt, due litri di latte, la nutella, la salsa di pomodoro, gli spaghetti, il minestrone congelato e infine si precipita al pane, comincia ad essere molto tardi.

 

Davanti a lei c’è una persona, Betta aspetta mangiandosi le unghie condite da qualche goccia di sangue che le cola sulle labbra. Tocca a lei “Mezzo chilo di sfilatino morbido”. “E no signora, bisogna prendere il biglietto!” le fa una studentessa dietro di lei sventolando il proprio quadratino.

“Puttana di una ragazzina, che ti bocciassero per tre anni di fila” mormora Betta mentre torna indietro a prendere il numerino, è il venticinque, sul tabellone lampeggia il venti. Deve aspettare il suo turno, sotto gli sguardi vigili delle persone arrivate dopo di lei ma che hanno ben saldo in mano il proprio pezzetto di carta.

 

Riesce a prendere il pane poi si precipita alle casse, a quest’ora dovrebbe già essere in ufficio. Da un’occhiata al carrello e si infila nella cassa veloce. Ci sono cinque persone davanti a lei ma sa che lì si fa più in fretta.

La fila si blocca due volte: la prima volta la cassiera chiama un addetto al microfono perché un cliente si è dimenticato di pesare la frutta, dopo un tempo che a Betta sembra lunghissimo l’addetto arriva e con calma va a pesare la frutta per il cliente distratto; la seconda volta  la fila si ferma per la signora prima di lei perché la confezione dello zucchero è chiusa male e vuole farsi cambiare il prodotto, stessa trafila, altri dieci minuti.

 

Finalmente è il suo turno ma quando fa per mettere il suo primo acquisto sul nastro il cliente dietro di lei, un pensionato in calzoni bianchi con la riga, la ferma:  “Signora questa è la cassa per soli dieci pezzi”.

Betta guarda il proprio carrello con l’occhio sano, conta i pezzi poi guarda implorante l’anziano signore: “Sono undici pezzi… per favore”.

“Mi dispiace, è questione di principio!”  Betta si gira, stringe i denti fissandolo, senza abbassare lo sguardo lascia cadere la passata di pomodoro davanti ai piedi dell’uomo.  “Ops… mi dispiace” I pantaloni dell’uomo ora sembrano la Pimpa, Betta rilassa la mandibola in un sorriso:  “Ora sono dieci” e passa la spesa alla cassa.

 

“Sono venti euro e due centesimi”. Betta ne ha solo venti e il suo conto non permette altre spese con il bancomat, comincia a cercare sul fondo della borsa  ma non trova nulla, la cassiera tamburella le dita senza guardarla, Betta si agita, sente crescere l’imbarazzo mentre fruga in tutte le tasche senza risultato, è sudata, il sangue ora cola abbondante imbrattandole la giacca. Finalmente la cassiera con sufficienza le intima di lasciar perdere e le passa lo scontrino.

 

Betta sta buttando in fretta le ultime cose nella borsa di plastica quando sente una mano morbida che le prende la sua, si gira di scatto, nervosa,  è il nipotino del pensionato che la fissa serio, sgranando gli occhioni neri: “Le fa male quel coso nell’occhio, signora?”. A Betta viene da piangere sta per rispondere qualcosa ma il bambino scompare.

 

“Signora, mi risponda, sente dolore?”, sopra di lei un’infermiera la guarda preoccupata dentro un’autoambulanza che procede di fretta a sirene spiegate.