Mi chiamo Margherita, Marghe per gli amici. Una volta mi sono vista allo specchio, mi ci ha messa davanti un esserino tutto felice. Mi ha scartata, tolta dall’involucro di bollicine e allora, per la prima volta, vidi la luce. Sara stava su delle gambe, mi spiegava, e aveva i capelli marrone scuro, diceva, e le braccia e le mani e la faccia e un sorriso, perché era felice di avermi. Io invece, avevo una base, un collo lungo tutto verde e una corolla di petali rossi con una lampada al centro. Saremmo diventate grandi amiche noi. La sera non avrebbe più avuto paura grazie a me. Mi mise sul suo comodino, che era casa mia, e Mamma attaccò la spina. Succedeva che quando faceva buio fuori, Sara si metteva a letto e mi leggeva una storia, poi si addormentava e Mamma mi spegneva. Le storie di Sara erano le più belle del mondo, magari un giorno ve ne racconterò una. Oggi, però, voglio narrarvi i Tragici Eventi che mi hanno condotta qui.
Tutto cominciò un giorno in cui tanti oggetti vennero spostati in cameretta. Scatole, sedie, secchi. Sara era molto felice, saltellava chiedendo a Mamma e Papà se poteva tenere un pennello anche lei, se poteva provare il rullo anche lei. Stavano ridipingendo la cucina.
Una mattina, in tutto quel trambusto, Sara si vestì tutta contenta perché sarebbe andata a fare colazione al Bar e avrebbe preso il latte col cacao e una brioche che non sapeva ancora se la voleva alla marmellata o alla cioccolata o alla crema, anzi le voleva tutt’e tre. Mi dava le spalle mentre, pronta per uscire, chiamava Mamma. Quando Mamma entrò non sembrava aver sentito Sara, infatti aveva gli occhi tristi e vuoti. Subito la seguì Papà. Parlavano a voce bassissima e concitata. Finché Mamma non si girò verso Papà di scatto e gridò:“Basta!”. Papà alzò un braccio in alto, come a prendere la rincorsa, ma non so cosa stesse per fare e non lo scoprì mai perché Sara, per lo spavento, sussultò e mi fece cadere a terra. Così, mentre il mio petalo si spezzava intravidi Papà lanciarci uno sguardo, abbassare il braccio quasi deluso e avvicinarsi per abbracciare Sara che stava per mettersi a piangere mentre mi guardava.
Tornata dal Bar Sara mi disse che Mamma e Papà, per consolarla, nel pomeriggio l’avrebbero fatta dipingere e che le avevano preso tre brioche mignon, una alla marmellata, una alla cioccolata e una alla crema.
Da allora nessuno volle aggiustarmi e quando Mamma o Papà passavano per la cameretta dicevano: “Ma perché non la butti quella lampada rotta?”. Fu così che cominciò un lungo periodo in cui Sara prima di addormentarsi leggeva in silenzio e spesso non mi teneva più accesa fino a tardi. Non aveva più paura di addormentarsi anche se restavo spenta. Ora erano altre cose che le facevano paura e aveva deciso di non dirle più a me. Le diceva a un libro di pagine bianche che ogni tanto mi lasciava aperto accanto ed io potevo sbirciare cosa ci scriveva, però non sapevo leggere e non so cosa avrei dato per saperlo fare.
Fu in quel periodo che cominciò l’Era delle Mostruose Voci, prima di quest’Era avevo conosciuto solo la voce di Sara in tutte le sue meravigliose sfumature, ora scoprivo che strani e certamente terribili esseri infestavano le altre stanze della casa.
Ai tempi delle Mostruose Voci casa mia non era più la stessa. C’era polvere ai miei piedi, i libri di storie erano spariti, mi si accalcavano attorno calzini, riviste e tubetti colorati che ogni tanto Sara si spalmava sulle labbra. Anche un cellulare, la sera.
Sara si tagliò i capelli corti corti e aveva spesso gli occhi anneriti dal trucco. Capitava, inoltre, che si comportasse in modo strano. Ad esempio, un pomeriggio si sedette sul bordo del letto, le Mostruose Voci si facevano i fatti loro mentre i suoi neri occhi colavano davanti a me che non potevo più fare nulla per la sua paura. La vidi prendere da una cartelletta un righello, appoggiarne al polso il lato sottile e sfregare lentamente. Mi parlò di nuovo dopo anni di silenzio e la sua voce, pure lei, era diversa: “Hey, Marghe, chi sa come sarebbe se…” ma non capii cosa disse perché in un’altra stanza le Mostruose Voci si erano spente e un boato di cose rotte giunse fino a noi. Piatti rotti, bicchieri rotti, piastrelle rotte. Sogni, forse, rotti. Quello fu Il Giorno del Boato.
Dopo Il Giorno del Boato accadde che potei vedere sempre più spesso in cameretta anche la Mamma. Dormiva con noi e parlava tanto con Sara tra i singhiozzi. Non so cosa le facesse singhiozzare tanto, non capivo bene quello che si dicevano. Era che piangevano, certo. Però, non sembrava che si fossero fatte male. Sara da piccola si sbucciava un ginocchio o si faceva La Bua e allora piangeva. Dopo Il Giorno del Boato non mi fu chiaro il perché di tutte queste lacrime.
Una sera, tra questi singhiozzi, le Mostruose Voci si riaccesero e fu allora che mi accorsi che una di queste era della Mamma che si alzò dal letto di Sara e sparì fuori dalla porta per ore. Intanto Sara accese il suo stereo nuovo e mi stette accanto, seduta per terra, canticchiando la canzone che passavano alla radio. Il Terribile Evento non fu però questo. Accadde qualcosa di esorbitante: dalla porta cominciarono a entrare Oggetti Volanti. Le Mostruose Voci erano sempre più vicine mentre dalla porta entravano vestiti, flaconi, scarpe col tacco e senza, una lampada molto diversa da me e tanto altro ancora. Scoprii che il mondo conteneva oggetti molto vari e misteriosi: gli Oggetti Volanti. Per ultima entrò la Mamma sbattendo la porta e chiudendola a chiave. Fece un grande stanco sospiro. Poi, leggermente zoppicando si avvicinò allo stereo, lo spense e massaggiandosi un braccio si avvicinò a Sara. Cercò di abbracciarla come poteva, col braccio buono, ma lei si divincolò e si nascose nel suo letto, sotto le coperte. Voleva sparire, disse. Allora la Mamma promise che se ne sarebbero andate di lì, che le cose sarebbero cambiate. Io lo speravo proprio, con tutta quella polvere a soffocarmi non ce la volevo più e non sopportavo tutti quei singhiozzi notturni. Però prima del Grande Giorno passò ancora qualche settimana o forse addirittura mesi.
Fatto sta che il Grande Giorno arrivò, fu quello degli Uomini in Divisa. L’ultimo dei Terribili Eventi che mi hanno condotta qui avvenne La Sera del Mio Secondo Petalo Rotto, l’ultimo. Di nuovo le Mostruose Voci imperversavano da ore in un’alta stanza della casa, l’unica cosa diversa questa volta era che Sara non era con me, al sicuro. La vidi entrare di corsa, mi gettò a terra nel prendere il cellulare che mi stava accanto e fu così che si spezzò il mio ultimo petalo. Mentre mi guardava cadere a terra Sara compose un piccolo numero e con lucidità diede il suo indirizzo di casa, disse che aveva quattordici anni e che delle persone si stavano picchiando in casa sua. Il campanello suonò pochi minuti dopo, nel silenzio più totale. Le Mostruose Voci devono aver avuto paura del campanello perché quella fu la loro ultima notte. Gli Uomini in Divisa entrarono chiedendo della minore, come stava la minore. Arrivati in cameretta chiesero a Sara se stava bene e lei disse che, sì, stava bene. Allora uscì dalla stanza con uno degli Uomini in Divisa. Poi, entrarono tutti gli altri. La Mamma, il Papà e un altro degli Uomini in Divisa. Trascorsero ore a parlare. L’uomo in divisa, più che altro. Diceva che cazzo state facendo, che cazzo state facendo, che cazzo state facendo. La Mamma disse che voleva andarsene da questa casa ma l’Uomo in Divisa scosse la testa e disse che cazzo fa una donna sola, non è un cazzo una donna sola, che cazzo state facendo. Il resto non me lo ricordo, ero preoccupata per il mio petalo. A tarda ora se ne andarono tutti. Sara tornò in cameretta e restò sola con la Mamma. Fu allora che si dissero che loro due, non sole ma in due, se ne dovevano andare perché non era vero che non erano un cazzo. Accadde che rimasi lì a terra e così restai per lungo tempo.
Dal Grande Giorno degli Uomini in Divisa, vidi Sara e la Mamma solo due o tre volte. Vennero con scatole e borsoni a portare via le cose che servivano. Io non servivo più.
Accadde che Papà una sera disse a qualcuno che doveva mettere della roba in cantina e mi mise in uno scatolone sospirando che non aveva il coraggio di buttarmi via. È così che sono finita qui, con voi Amici Oggetti Dimenticati. Questi sono stati i Terribili Eventi che mi hanno condotta qui. Ora raccontatemi la vostra storia.