LA FURIA DELLE ACQUE

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– Dovete aiutarmi, brigadiere.

Nunziata era seduta su una delle due sedie di legno, davanti alla scrivania. Era spaventata e scarmigliata, e aveva un occhio nero.

– Te l’ho detto, Nunziata, – ripose il brigadiere Nerucci con voce paziente – senza una denuncia io posso fare ben poco. Ma tu non ti vuoi decidere…

– Se lo denuncio finisce in galera – ribatté lei con voce sorda – e io come li sfamo i figli miei? Bene o male, quando è sobrio, qualche soldo a casa lo porta.

– Non puoi prendere le botte per tutta la vita, per quattro soldi. So che lavori, che in paese ti danno una mano e puoi cavartela anche senza di lui.

– Sì, ma quando poi esce di galera mi ammazza.

Il brigadiere Nerucci sospirò.

– Affrontiamo un problema alla volta, vuoi? Firmami questo benedetto foglio…

– Brigadiere, guardate che non m’importa delle botte. A quelle ormai ci sono abituata. C’è un’altra cosa…

– Cosa? –

Nunziata si torse convulsamente le mani.

– Ecco… la mia Giovanna ora s’è fatta grande… e non mi garba come la guarda. Non mi garba per niente.

Il brigadiere si avvicinò al viso della donna.

– Vuoi dire che Gervasio  ha messo le mani addosso a Giovanna?

– No…. ancora. Ma da un po’ di tempo fa dei discorsi… degli apprezzamenti…. Io ho paura, brigadiere. Ho paura che la rovini. Quando è ubriaco, è capace di tutto. E poi non è il suo vero padre… anche se lei non lo sa.

– Lo vedi che devi firmare la denuncia?

– Io non le metto per scritto queste cose. Sono cose tremende, mi vergogno. Dovete aiutarmi, brigadiere… perché se tocca Giovanna, io lo ammazzo.

Il brigadiere sospirò.

– Vuoi che ci parli?

– Magari…

– Va bene, anche se io la vedo in un’altra maniera. Vai a casa, ora, Nunziata, che s’è fatto quasi mezzogiorno.

La donna si alzò con gli occhi lucidi.

– Grazie… se lo potete fare, grazie.

 

 

 

 

 

 

 

– D’Ascenzi!

L’appuntato D’Ascenzi scattò in piedi e si precipitò nell’ufficio attiguo, da dove veniva la voce tonante.

Il brigadiere Nerucci contemplò il giovane alto e dinoccolato, che passava a malapena dalla porta. In quei giorni d’autunno erano soli: il maresciallo s’era operato d’urgenza d’appendicite, un carabiniere era in licenza matrimoniale e un altro s’era beccato l’influenza. Per fortuna, in quella stazioncina di paese noioso non accadeva  mai nulla. A parte le beghe familiari.

– Hai sentito, vero?

D’Ascenzi accennò un sì incerto con la testa.

– Andiamo a mangiarci un boccone da Gilda, poi andiamo a fare due chiacchiere con quel Gervasio.

– Bene – disse l’appuntato con un largo sorriso.

– Ovviamente, tu resterai in macchina.

Il sorriso di D’Ascenzi si spense.

 

Gilda la vedova gestiva l’unica osteria del paese, fumosa, unta e annerita, ed era famosa per la trippa. Nerucci però aveva la gastrite e proibiva anche al suo sottoposto di consumare cibi di dubbia provenienza.

– ‘Giorno brigadiere, il solito?- disse Gilda con finto entusiasmo.

Il solito era costituito da due insalate di campo, prosciutto e formaggio locali, mezzo bicchiere di vino al brigadiere e rigorosamente acqua all’appuntato, che annusava vanamente gli odori densi della trippa e dei fagioli con le cotenne.

– ‘Giorno Gilda, il solito, grazie.

– Avete visto che tempo, brigadiere? Pioverà anche oggi…

– Anche oggi, e anche domani, e anche dopo di domani – disse un vecchio torvo che faceva il solitario a un tavolo di fondo.

– Che dite, Osvaldo? – chiese il brigadiere – Non cambia?

– Per me, pèggiora  – rispose il vecchio, cambiando l’accento al verbo – Sono stato in bicicletta alle Trasubbie, e non m’è garbato per niente. E’ gonfio, e anche l’Ombrone dev’essere quasi al livello di guardia…

– Via, via, quanto sei pessimista! – brontolò Gilda –  Sarà quel che Dio vorrà.

Dopo aver consumato il solito, i due carabinieri salirono sulla vettura in dotazione dove l’appuntato entrava a fatica e, attraverso una strada a sterro, dietro il paese, arrivarono al podere di Gervasio. Nell’aia scorrazzavano marmocchi di varie età e galline spernacchiate. Sotto una tettoia di lamierino, Giovanna, la bella figlia adolescente, ricamava un improbabile corredo; la madre non c’era, il padre, o patrigno che fosse, più in là, in maniche di camicia, spaccava legna con una grossa ascia. Si voltò un attimo a guardare i nuovi arrivati, poi riprese il lavoro.

 

 

 

 

 

– ‘Giorno, Gervasio – disse il brigadiere in tono asciutto.

Con un colpo secco e preciso l’uomo spaccò in due un grosso legno, poi disse, senza voltarsi:

– Qual buon vento, brigadiere?

– Vento di pioggia – rispose lui, sentendo una goccia.

– C’è stata per caso una rissa all’osteria? Guardate che io non…

– Tua moglie ha un occhio nero – lo interruppe il brigadiere –  e mi piaceva sapere com’è successo.

Gervasio posò l’ascia e lo guardò:

– Le donne che lavorano si fanno male – rispose lentamente – alle gran dame del paese non succede.

– Sicuro di non aver niente da raccontarmi?

– Sentite, a me non l’ha detto, io mi faccio i fatti miei… e penso che tutti dovrebbero fare lo stesso.

– Io rappresento l’autorità qui, e ho il dovere di informarmi. Non è un passatempo. Allora, perché tua moglie ha sempre qualche livido?

Gervasio rise sinistramente.

– Glielo dico sempre io, di non farsi troppi bicchieri, che non lo regge più come prima. Che volete, anche lei ha i suoi anni, è sbadata… sbatte dappertutto.

Il brigadiere sentì prudere le mani.

– Credevo fossi tu, quello che beve.

Gervasio smise di ridere.

– Sentite, brigadiere,  state perdendo tempo e lo state facendo perdere a me. Bevo, e con questo? Io i soldi me li sudo, non me li manda lo Stato per andare a confondere la gente, e anche se un pochi li do alla Gilda per qualche cicchetto, non c’è niente di male. Nunziata è una chiacchierona, dovrò darle una lezione…

Il brigadiere si avvicinò e disse in tono minaccioso:

– Fai che non sappia che hai messo le mani addosso a tua moglie… e a tua figlia!

Gervasio si fece scuro in volto e riprese l’ascia.

– Non mi lascio intimidire da nessuno in casa mia. E non accetto consigli su come allungare e non allungare le mani, da uno che non tiene nemmeno famiglia.

Il brigadiere Nerucci si bevve la cattiveria gratuita, senza fiatare; trent’anni prima sua moglie era morta di parto, col bambino, e anche se all’epoca stava in un’altra città, in paese lo sapevano tutti.

–           Va bene Gervasio, farò finta di non avere sentito. Ma vedi di rigare dritto, e di lasciare in pace le donne di casa, se non vuoi più avermi tra i piedi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’altro grugnì e riprese a spaccar legna.

D’Ascenzi, che dal finestrino dell’auto non si era persa una  parola, vide il brigadiere tornare indietro, ricurvo, sconfitto, come invecchiato.

 

Mentre come ogni giorno ricominciava a piovere, e i figli correvano a ripararsi in casa, Gervasio guardò la macchina allontanarsi e poi vide la moglie farsi sull’uscio. Fece qualche passo verso la porta e disse, con odio:

– Puttana. Li hai chiamati tu, vero?

Nunziata avrebbe voluto scappare, ma era stanca di scappare.

– Li ho chiamati io, sì – rispose con un filo di voce – sono stufa, Gervasio, stufa di te, delle tue sbronze, della tua puzza di maiale. Non voglio che mi tocchi mai più.

Con un urlo l’uomo si lanciò verso di lei, ma sulla porta apparve Giovanna che fece scudo alla madre col suo corpo.

– Lasciala stare! Lasciala stare!

–  Dannata puttana bastarda! Siete uguali, tu e lei! Sai che ti dico, Nunziata? Che hai ragione,   da oggi   non  ti toccherò più. C’è di meglio, di molto meglio…

Gervasio sogghignando entrò in casa mentre le donne indietreggiavano. Mentre si voltava a chiudere la porta, Giovanna afferrò i suoi ferri da calza, sul  tavolinetto vicino all’entrata, nascondendo la mano dietro la schiena.

Fuori aveva ricominciato a piovere, una pioggia triste, torrenziale, continua e senza speranza.

 

– Brigadiere! Presto, guardi qui.

Nerucci entrò in ufficio e si tolse l’impermeabile fradicio.

Pioveva ininterrottamente da quarantotto ore.

– Che c’è, D’Ascenzi?

– Un fonogramma della Prefettura! Siamo in stato d’allerta, forse ci sarà un’inondazione! Accidenti, siamo soli, non c’è neanche il maresciallo…

– Stai calmo, D’Ascenzi, non ti agitare! Adesso prepariamo un bel volantino, facciamo un giro del paese e lo attacchiamo a tutti i portoni, poi parliamo con tutti quelli che incontriamo e li avvertiamo di non scendere in città. Comunque domani è festa e le scuole sono chiuse… Sai  che facciamo, dopo? Facciamo un bel giro fino all’Ombrone, per vedere se davvero il fiume vuole farci lo scherzo, o se sono solo i soliti inutili allarmismi.

– Signorsì… – balbettò l’appuntato.

 

 

 

 

 

All’ora di pranzo, il proclama steso a macchina era bell’è pronto, e i due carabinieri, sotto la pioggia battente, fecero il loro giro attaccandone copie dovunque, parlarono con tutti gli abitanti che riuscirono a incontrare, e si fermarono dalla vedova per il solito.

Dalla finestra dell’osteria, si vedeva il podere di Gervasio, l’aia fangosa deserta, il camino acceso.

– Quando il briaco è fori, Nunziata gli brucia tutta la legna – commentò Osvaldo.

– Perché, Gervasio è via? – chiese il brigadiere, sorpreso.

– Non si vede da un paio di giorni – disse Gilda – e visto che con quest’acqua non si lavora, vuol dire che è partito…

– Difatti, non c’è nemmeno l’Ape davanti casa – disse il Nerucci, pensieroso.

Come stabilito, verso le due, Nerucci e D’Ascenzi partirono in automobile per la loro ricognizione. La campagna circostante era immersa in una desolazione senza limiti, il cielo invariabilmente grigio prediceva solo sciagure. A un certo punto, lasciarono la provinciale e imboccarono una stradina che conduceva verso la sponda dell’Ombrone; il brigadiere esclamò:

– Merda, D’Ascenzi! Prima di notte il fiume tracima. Torniamo indietro, presto!

Sudato,   l’appuntato   innestò   la       retromarcia,      fece l’inversione e aveva percorso poche decine di metri quando  arrestò l’auto bruscamente.

– Che cavolo fai?

– Guardi là, brigadiere, in quella radura!

Tra le frasche, in una piccola radura, c’era un vecchio Ape blu, tutto fangoso.

– E’ di Gervasio – disse il brigadiere – viene, scendiamo.

I due si accostarono al mezzo e dentro, riverso contro il parabrezza, videro il guidatore.

– Accidenti brigadiere, è morto?

– Chissà. Aiutami, tiriamolo fuori.

I due, con fatica, tirarono fuori quello che  era stato una montagna d’uomo e lo adagiarono sotto una pianta che offriva un minimo di riparo.

– Andato. Gli sarà preso un infarto – disse il Nerucci.

– No, brigadiere. Hai dei buchi nella schiena. Del sangue raggrumato. Non ha visto?

–  Chissà con che diavolo…

– Sono dei ferri, brigadiere – lo interruppe l’appuntato – ferri da calza, direi… uno gli ha trapassato il cuore.

– Perbacco, ragazzo, ma sei un fenomeno! Quindi…

–           Quindi siamo davanti a un omicidio, signore – disse D’Ascenzi  – e secondo me, se permette, è andata così: quest’uomo ha aggredito la moglie, o la figlia, e lei l’ha colpito alla schiena con una cosa che teneva nascosta, i ferri, appunto. La ragazza si è difesa con la prima arma che ha trovato…

 

 

 

 

 

– Perché dici la ragazza?

– Beh, ecco,… ho sentito dei discorsi, l’altro giorno… pare che non fosse proprio il padre e che, insomma, se mi permette, se la volesse fare…

– Però hai sentito anche, caro il mio fenomeno, che Nunziata diceva io lo ammazzo

– E’ possibile, ma senz’altro i ferri con le impronte li hanno fatti sparire, e poi la ragazza essendo minorenne se la caverà più facilmente.

– Cavolo, D’Ascenzi, non ti facevo così perspicace.

L’appuntato sorrise luminosamente sotto la pioggia.

– Per forza, da che sono con lei, in quel paese di morti di sonno, a parte questo, non è mai successo niente di interessante!

– Resta da chiarire come ha fatto il morto ad arrivare qui.

– Qualcuno della famiglia ha caricato il cadavere e condotto l’Ape fin qui. Nessuno se n’è accorto, con questo tempaccio non girava molta gente per il paese. Ora che ci penso… la figlia  ha  un   ragazzo  del    paese vicino, che quando non c’è il padre, viene in motorino e glielo fa pure provare! Quindi   s’è   data   coraggio   e   ha guidato l’Ape. Per una che ha appena commesso un delitto, cosa vuole che sia guidare senza patente?

– Co… come diavolo fai a sapere tutto questo?

– Osservo. Osservo i miei compaesani. Li studio.

– E… perché l’avrebbe portato qui?

D’Ascenzi si concentrò:

– Probabilmente l’assassina confida nella furia delle acque. La complice l’ha aiutata a caricarlo nel cassone… anzi, è salita anche lei, il cadavere era pesante. Una volta qui, l’hanno messo al posto di guida e sono tornate in paese a piedi. Tagliando per il bosco, non è lontano…

– Bingo! Sei proprio bravo, D’Ascenzi, hai un futuro nell’Arma.

– Grazie, signore. Che facciamo ora? Guida lei la macchina, e io riporto l’Ape in paese?

Il brigadiere lo fissò con un’espressione indecifrabile.

– Lo rimettiamo dove l’abbiamo trovato. E ce lo lasciamo.

– Cosa?!?

– Hai capito bene, D’Asce’.

– Ma…ma… brigadiere, se lei dice che qui fra qualche ora il fiume straripa… si porta via tutto, cadavere, Ape, tracce, prove…

– Appunto.

Il giovane, allibito, fissò il suo superiore.

–           Le…le…lei mi sta chiedendo – balbettò – di infrangere la legge?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Ascolta, D’Asce’. Stanotte l’Ombrone strariperà e si porterà via il cadavere. Quando lo ritroveranno, se lo ritroveranno, sarà difficile stabilire di cosa è morto. Fra tre anni me ne vado in pensione; non ho potuto far niente per quella povera donna e non voglio neanche rovinarla. Lo capisci?

– Non so se ce la faccio, brigadiere.

– Hai una madre, una sorella, D’Asce’?

– Lo sa benissimo, le ho mostrato le foto.

– Tuo padre le picchia? Le violenta?

– Ma che dice!

– Pensa a loro, appuntato; pensa che qualcuna è meno fortunata, e noi ci siamo anche per dare una mano. Vuoi che Giovanna finisca il suo corredo e si sposi il motociclista, o vuoi che marcisca in galera?

– La prima, signore.

– Bravo. Allora dammi una mano a rimettere dentro il defunto.

– Sa, brigadiere? Ancora non sono convinto…

– Convinciti, D’Asce’, o ti lascio qui col morto.

– D’accordo, ma mi chiami col mio cognome completo, è più rassicurante. Oggi lei è strano…

– Oggi è oggi. E non si ripeterà.

Verso le cinque,  il brigadiere e l’appuntato, fradici fino al midollo, tornarono in paese e finirono di allertare gli abitanti, che per fortuna erano tutti al sicuro.

 

La notte tra il 3 e il  4 novembre 1966 il fiume Ombrone straripò, travolgendo la città di Grosseto e le sue frazioni, Quando la furia delle acque si fu calmata, impantanato vicino alla foce, fu trovato l’Ape di  Gervasio; ci fu un funerale senza il morto, perché non fu mai trovato, durante il quale Don Giuseppe fece una bella predica, dicendo che dopotutto il defunto era stato un buon padre di famiglia e comunque il lavacro purificatore del fiume lo aveva ripulito delle sue colpe.

Nunziata trovò posto come bidella nell’asilo comunale. Tre anni dopo, Giovanna sposò un ragazzo che aveva la passione per le moto.  Il brigadiere andò in pensione e l’appuntato chiese e ottenne il trasferimento. In un paese dove succedesse pure di tutto, tranne, per carità, le beghe familiari.