Ricordo.
Il momento più duro era la notte,
quando il buoi permetteva di muoversi in silenzio, nascosto, appostato, ed io ero più fragile.
Le chiamano Cimici da letto, sono parassiti che colpiscono l’uomo soprattutto di notte. Non vivono sul corpo dell’ospite, ma si insediano in micro – ambienti in sua prossimità.
E come una cimice, lui si nascondeva dietro il cespuglio di casa, rientravo dalle mie serate con gli amici e con la coda dell’occhio vedevo la ruota della bicicletta sparire dietro quel maledetto cespuglio.
Ora mi sento in pericolo!
Faccio finta di niente, metto la chiave nella toppa il più velocemente possibile cerco di entrare in casa. Ho un mare di lacrime nella pancia, formiche dentro le dita delle mani, un cocomero in gola, il torace batte come un grosso tamburo il cui suono è accompagnato dal fischio delle mie orecchie, le gambe di marmo e i piedi di piombo, la testa vuota, il mio respiro accelera e accelera, sempre più veloce, sempre più veloce e poi…
Stop! Silenzio!
Sono a casa al sicuro, qui non può entrare.
Il corpo gelato e immobile fatica a preparasi per la notte.
Succederà qualcosa adesso…No adesso…No adesso…No adesso…il tempo passa, poi: sono le 5.00 del mattino. Io sono ancora sveglia.
Mi chiedo: “perché proprio a me?”
La cimice dei letti è un parassita estremamente “democratico” che, nella scelta degli ospiti da “vampirizzare”, non sta a discriminare in termini di età, religione, razza, etnia, ceto sociale o altro. Similmente si trova a suo perfetto agio tanto in un tugurio che cade a pezzi quanto in un albergo a cinque stelle con tutti i comfort.
Donne italiane e donne straniere, casalinghe e insegnanti, mamme e amanti, nei quartieri popolari e tra i bastioni di Milano. Nessun confine all’ossessione di uomini che ti seguono, ti chiamano, di guardano da lontano, ti perseguitano.
Le cimici dei letti si attivano a partire dalla tarda sera, e danno il meglio di loro stesse intorno ad un’ora prima dell’alba. Possono provare ad alimentarsi in altre ore della giornata se ne diamo loro l’opportunità.
Dopo una notte di paura, stress e insonnia, alle prime luci dell’alba i miei occhi trovano finalmente riposo, ma il sonno è subito interrotto dallo squillo del cellulare oppure dal citofono di casa o dai rumori alla finestra.
Ora mi sento in gabbia!
Lui non può entrare, io non posso uscire. Vorrei affrontarlo, avere la forza di schiacciarlo come una cimice, liberarmi, mi sento fragile e impotente.
Per un attimo vorrei non essere donna, avere la forza di un uomo per liberarmi, per rendere giustizia al male che sto subendo, per riprendermi la dignità che ogni persona ha il diritto di mantenere.
Vorrei vivere al settimo piano, vorrei stare in una torre, non vorrei nessun principe che venisse a salvarmi, vorrei fuggire senza dire niente a nessuno.
Ma qualcuno di più saggio un giorno mi disse: “se fuggi una volta dovrai fuggire per sempre”
Così restai!
Le cimici dei letti raggiungono la vittima appostandosi in fori o crepature sulle pareti senza farsi vedere, a volte possono attendere il buio per ore appesi al soffitto e quando la luce viene a mancare si possono lasciare andare sul corpo della vittima prendendola alla sprovvista nella notte.
La cimice è attratta dal calore del corpo e dal respiro della sua vittima.
La cimice punge e buca la pelle con il suo doppio ago. Con un ago si nutre del sangue della vittima, mentre con l’altro rilascia la saliva che provoca rigonfiamenti e prurito violento.
Essere presa alla sprovvista, prima dal polso e poi un colpo veloce al braccio.
Schizofrenia dialettica tra urla e dolcezze.
Allontanamenti e recuperi violenti, per i capelli e dal bacino.
Una reazione allontana il carnefice.
Ora la rabbia: reazione e resistenza!
Questo lo manda in collera, così lascia andare la sua grossa mano sul corpo della vittima, che fa fatica a piegarsi.
Il corpo resiste e le mani diventano due, e poi tre e poi quattro e ancora cinque.
Il corpo resiste ancora e poi…
Cede!
Atterra, un corpo fragile, corpo violaceo, corpo che racconta, corpo violentato, corpo oppresso, corpo di una donna attraversato dalle mani di un parassita.
Ora mi vergogno!
Psicologicamente le persone reagiscono alle punture da cimice con ansia, stress e insonnia.
Quella notte era insonne, corpo tremante, incerta se fosse la paura oppure il ghiaccio che medicava la guancia gonfia e dolente.
Raccontare di avere le cimici da letto ad un ospite, non è semplice. Potrebbe fuggire, aver paura di infettarsi, provare ribrezzo, lasciarti sola. Allora taci! Non dici nulla! Se non lo dici, non esiste! Prima o poi spariranno da sole, andranno anche loro in letargo.
Così davanti ad un caffè e una sigaretta si parla della serata che arriverà e nascondi il terrore dietro ad una risata grassa e lunga.
Le cimici dei letti, possono vivere dai sei ai nove mesi se nutrite bene, non vanno mai in letargo, e riescono a sopravvivere per un intero anno anche senza cibarsi.
Ora ho paura.
Così tanta paura, che trovo il coraggio di urlarlo.
“Aiuto!”…grido alle istituzioni.
Ma se non muore qualcuno la paura è bugia.
“Aiuto!”…grido ai servizi
Ma se non lo vai a raccontare in TV la tua storia vale poco.
“Aiuto!”…grido agli amici.
Mani di donne che si sono appoggiate su di me, mi hanno accarezzata, mi hanno abbracciata.
Mani di donne che sono diventati pugni duri, forti e chiusi, che hanno lottato insieme.
Mani di donne che hanno pulito, sistemato e ricostruito.
Mani di donne che si sono unite e hanno fatto cordone unico di fronte ad un solo uomo.
Mani di donne coraggiose
Mani di donne che si sono prese Cura.
Ora sono salva!
La disinfestazione è durata 9 mesi: da Giugno a Marzo.
L’azoto liquido è il prodotto più efficace per debellare i parassiti.
Bisogna smontare tutti i mobili, trattare angolo per angolo, lavare tutto a 90°, gettare libri e legno datato. Buttare vecchi ricordi, eliminare gli odori, sterilizzare tutto e lavare con il sudore e con le lacrime il ricordo di quell’esperienza.
La pulizia è durata 9 mesi.
Nove sono stati i mesi che abbiamo trascorso per liberarci delle cimici dei letti.
Nove sono stati i mesi che abbiamo trascorso per far sparire quella ruota di bicicletta dietro a quel maledetto cespuglio.
Nove mesi. Un ciclo al femminile. Nove sono state le donne che mi hanno aiutato.
Nove mesi come il tempo che una donna impiega a mettere al mondo un figlio.
Nove mesi il tempo di creare una nuova vita dentro di se. Il tempo per rinascere, per dare alla luce una nuova donna.
Esiste un prima e un dopo
da quella mano grossa che si posa sul tuo viso,
un ieri e un oggi da quel morso che ti succhia il sangue e la vita.
Solo urlando puoi rinascere.
Solo insieme è possibile.
Per un attimo, ma solo per un attimo ho avuto la presunzione di pensare di potercela fare da sola e che prima o poi sarebbe finita da se e che lui avrebbe capito e che forse cambiando il mio atteggiamento avrei potuto migliorare o arrestare il dolore.
Per un attimo, ma solo per un attimo ho avuto la presunzione di negare la mia fragilità.
Fragile come una farfalla, che vola delicata e gode della bellezza che la circonda, cerca fiori su cui posarsi, dove nutrirsi e gioire. Le sue ali sono fragili come carta velina, che si spostano ad ogni colpo di vento, che si feriscono se attraversa dei fitti rami di un albero. Una farfalla come simbolo di rinascita che non è immune né indifferente a ciò che che accade intorno a lei, attenta a ciò che la circonda. Capace di guardare, di emozionarsi, di stupirsi e di piangere ancora, di indignarsi, di provare gioia e dolore, di sorridere e di sognare, di vivere…e prima o poi, riuscire a tornare a dire
“ti amo”.