Acqua pubblica: sì o no?Analizzando la questione da un punto di vista prettamente concettuale, o ideologista, non si può nonaffermare che l’acqua deve rimanere un bene pubblico perchè così facendo si ri-afferma che èdominio di tutti, è una conquista della società civile. Come l’istruzione o la sanità: essendo principiintrinseci nell’uomo sono indiscutibili e si pongono alla base di una società civile.
Analizzando la questione da un punto di vista idealista invece si può tenere in considerazione laprivatizzazione come uno strumento di ottimizzazione del “bene acqua” e, tenendo ben presente chesi tratta di un bene limitato, l’uso regolato da strumenti efficiente e efficaci diviene estremamenteutile.
Ma allora cosa è giusto fare? E il referendum che andremo a votare come cambierà la gestione dellenostre risorse idriche? Se passa il primo quesito, a livello immediato, attraverso l’abrogazione dell’art. 23 del Decreto Ronchi, gli enti locali (comuni) potranno recuperare l’autonomia politica di decisione sui servizi pubblici locali e sull’acqua, e avranno la responsabilità della loro gestione, rispettando, naturalmente, la normativa comunitaria.
Ciò avrebbe due effetti immediati:
• Il primo. Il territorio nazionale è diviso in 92 “ATO” (Ambito territoriale ottimale). Si trattadi assemblee di sindaci che cogestiscono il servizio idrico. Oltre la metà di questi, 64 su 92,non ha ancora proceduto ad alcun affidamento o gestisce il servizio idrico attraverso societàa totale capitale pubblico. Composti da città capoluoghi o di grandi dimensioni, i comuni degli ATO vedrebbero decadere l’obbligo di indire le gare entro il 31 dicembre 2011, conservando così la facoltà di continuare a gestire direttamente acqua, rifiuti e trasportipubblici locali, cioè i tre servizi pubblici locali oggetto dell’art. 23.
• Il secondo. I comuni che sono azionisti di società miste a cui hanno delegato in precedenzala gestione dell’acqua, vedrebbero decadere l’obbligo di cedere ai privati le loropartecipazioni azionarie, che entro il 2013 dovranno ridursi a non oltre il 30%. Oggi lapartecipazione azionaria oscilla tra il 51 e il 70%, cosa che consente a questi comuniazionistidi esercitare un minimo di controllo sulle politiche di gestione dei servizi locali.Scendendo la quota di partecipazione al 30% gli enti locali verrebbero a trovarsi inminoranza. Questa tipologia interessa la maggioranza dei comuni di importanti regioni comela Toscana (Acquapublica), l’intera Emilia Romagna (Hera) e il Lazio (Acea).Il successo del secondo quesito referendario, determinerebbe l’abrogazione del comma 1 dell’art.154 e come effetto immediato comporterebbe una riduzione del 7% delle tariffe dell’acqua ma,soprattutto determinerebbe una riduzione dell’interesse da parte delle principali impresemultinazionali a partecipare alle gare di appalto indette da amministratori locali. In questo quadro, infatti, non verrebbe assicurata la possibilità di avere per legge un profitto garantito. La scomparsadella remunerazione minima garantita comporterebbe inoltre la revisione dei piani di investimento.
Questi sono gli effetti reali, quindi, nessun obbligo di gestione pubblica, nessuna statalizzazione,nessuna esclusione dal mercato del privato, nessun impedimento di fare porfitto. Ma un ritorno ad un’autonomia decisione da parte degli enti locali.Concludendo nello specifico si avrebbe un preservare il principio del “bene comune” e una componente azionistica privata che potrebbe dare un adeguato apporto in termini di gestione deglistrumenti.
Ne consegue che in analisi politica risulta essere non solo utile, ma anche concettualmente civile, votare sì all’abrogazione che il referendum propone.
Comunicato del Movimento Martesana 5 stelle